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Gli ultrà del reddito all'attacco del Giornale. "Vi facciamo neri". E minacciano querele

Scoperta e insultata la nostra cronista infiltrata nel gruppo WhatsApp dei contestatori che incitano alla guerriglia: "Siete solo dei pennivendoli". Un altro: "Attenti a scrivere che facciamo rapine"

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«Devono baciare per terra se non li si va a prendere con una corda in mano». Questa una delle minacce dei manifestanti napoletani per il reddito di cittadinanza, arrivata direttamente nelle chat e rivolta a Il Giornale.

La pubblicazione delle conversazioni che incitano alla violenza, dopo che siamo riusciti ad entrare nei gruppi di protesta o «movimenti di lotta» - come si chiamano tra loro - non è piaciuta a chi continua, per ora, a scendere in piazza ma che sta organizzando - a quanto sembrerebbe - delle vere e proprie sommosse.

«Dobbiamo combattere anche contro questi giornalisti. Non sanno di che parlano e con chi hanno a che fare», «Che schifo, mi fanno schifo»: questo il tenore dei messaggi arrivati dopo l'uscita dell'articolo. Insieme alle minacce, però, l'aggressività è sempre al primo posto insieme al tentativo di non essere «beccati».

«Bloccate le chat, non fate entrare più nessuno», scrive un utente seguito a ruota da molti altri: «Bisogna stare attenti a quello che si scrive», «Noi nelle chat abbiamo i giornalisti, non mi volete ascoltare. I nostri gruppi sono controllati. Bisogna avere un linguaggio corretto», «Dobbiamo incontrarci, avete visto cosa succede con le chat?». Fino ad arrivare a qualcuno che esordisce con: «Ma la vogliamo finire? Vi rendete conto che ci tengono sotto controllo? Dobbiamo evitare di dire sempre che andiamo a rubare e a fare le rapine. Siamo tutti controllati, se succede qualcosa i primi che prendono siamo noi». Un altro, invece, rassicura il popolo dei percettori dicendo che «possiamo parlare quanto vogliamo, possiamo dire che vogliamo impiccare la Meloni ma fin quando non lo facciamo davvero non possono farci niente». Appoggiato da un'altra persona che addirittura scrive: «Il mio avvocato ha detto che fin quando non passiamo ai fatti non possono farci niente, dopo la Digos però può intervenire».

«Tenete presente che il pennivendolo che ha scritto questo articolo è ancora in qualche nostra chat» fa presente un napoletano in tutto ciò. Ma c'è di più: oltre a identificarci come «pennivendoli» il gruppo si spinge oltre, con offese ben più gravi.

«Sono criminali violenti» e ancora «hanno commesso un reato, chiediamo il risarcimento danni». Nel dubbio, infatti, tra una minaccia e l'altra, a qualcuno viene in mente - per non smentirsi - di ricavare qualche soldo con una possibile azione legale. E non è finita, si passa alla caccia all'uomo: «questo deve essere uno di loro», pubblicando addirittura foto e dati personali nostri. «Se l'autore è qui dentro sappi che sei un c***** che scrive falsità». E ancora: «venduti», «pezzi di m***», «parassiti». La ricerca dell'infiltrato continua per ore: «ma questi erano alle manifestazioni?», «dobbiamo vedere tutti i video e riconoscerli», afferma un uomo.

Un continuo di offese e di minacce per poi passare ai fatti: «mo' lo chiamo», scrive una donna del gruppo. Ed effettivamente così è andata: ci hanno contattati, chiedendoci chi fossimo, cosa volessimo, se facessimo i giornalisti e dicendo «avete spiato bene?». Fino ad arrivare ad esortarci a «stare nel giusto», dicendo addirittura cosa fare: «mettete notizie giuste ok». Non una domanda ma un'affermazione che sembrerebbe avere più le sembianze di un'intimidazione.

Al tutto si aggiunge anche chi non hai mai percepito il reddito ma che, evidentemente, si trova nei gruppi solo per incitare alla guerriglia: «Li facciamo neri a questi 4 cafoni scemi».

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