"Il vaglio resta vagliato, è chiaro" Quei discorsi strampalati di Fico

Il presidente della Camera, solito a svarioni grammaticali, s'incarta in Aula e sui social lo sbeffeggiano: «Sei come il conte Mascetti...»

"Il vaglio resta vagliato, è chiaro" Quei discorsi strampalati di Fico

Dopo l'ultima performance linguistica di Roberto Fico alla Camera i critici sono indecisi sull'analogia più calzante: chi lo vede come il conte Mascetti di Montecitorio, chi come il nuovo Luca Giurato, fuoriclasse di papere. Riascoltiamo al replay l'intervento del presidente della Camera su una questione di regolamento, con un giro di parole da brividi: «Il vaglio di ammissibilità che ho fatto rispetto alla presentazione la mozione rimane ammissibile perché lei in questo caso costata o interpreta una contraddizione in termini dell'impegno del governo che è l'impegno che i presentatori hanno rivolto al governo ma il vaglio di ammissibilità per me rimane così e anche con la questione della centralità del parlamento, la sensibilità in questo caso il vaglio è già stato fatto e rimane vaglio, invariato». Una supercazzola clamorosa. E meno male che Fico è laureato in Scienze della Comunicazione, con tesi su «Identità sociale e linguistica della musica neomelodica napoletana». Che sia neomelodica anche la sua sintassi? C'è da dire che il grillino si è ritrovato seduto sulla terza poltrona più importante dello Stato, dovendo anche maneggiare regolamenti di Montecitorio (aiutato dai funzionari della Camera), venendo da un'esperienza personale modestissima come la maggioranza dei Cinque stelle. Lui aveva lavorato in un call center, dopodiché aveva intrapreso - leggiamo dalla sua biografia - «attività in proprio, sviluppando progetti nel settore del turismo e del commercio» non meglio precisati, prima di essere catapultato in Parlamento. Da lì a guidare la Camera dei deputati il salto è lungo, qualche scivolone è comprensibile. Per la verità più d'uno, con frequente spregio di sintassi e grammatica.

Si era impappinato già nel primissimo discorso da neoeletto presidente della Camera, salutando la nuova presidente del Senato «Maria Alberti Castellati», che invece si chiama Casellati. Vabbè, l'emozione. Più difficile giustificare il neologismo inventato da Fico in una intervista tv quando disse che il global compact «è sotto l'egidia dell'Onu», al posto di egida («protezione, difesa, salvaguardia» secondo la Treccani). La lingua di Fico trova ostacoli anche nella coniugazione dei verbi, tallone d'Achille dei Cinque stelle che sui congiuntivi cadono come birilli (Di Maio: «È come se io verrei...», Di Battista: «Mi facci finire»). Il presidente della Camera si è fatto notare con questa consecutio temporum spericolata ad Atreju: «Non voglio sottrarmi alla domanda, ma la mia risposta non ha tutti i dati di quello che può succedere se ci sarebbero due aliquote». Un'altra volta ha redarguito un deputato di Fratelli d'Italia, spiegandogli che «i migranti non fanno pacchia», inventando così seduta stante l'espressione «fare pacchia», ancora non conosciuta dai dizionari di lingua italiana.

«Mi consenta presidente» gli disse Giorgio Mulè durante un battibecco, «La consento» rispose Fico rivoluzionando le regole sui pronomi.

D'altronde è un rivoluzionario, o no? Il deputato Sestino Giacomoni venne diminuito in «Giacomini», al che l'azzurro rispose femminilizzando il presidente in «Fica». I retroscena lo dipingono come il leader M5s alternativo a Di Maio. Sulla grammatica il cambiamento sarebbe impercettibile.

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