Valentino ci dà un taglio E il cappotto cambia stile

Pierpaolo Piccioli crea tre pannelli sul davanti Balenciaga allaccia i capispalla in diagonale

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Parigi La moda come stargate, il fantascientifico portale capace di collegare in un istante punti molto lontani nello spazio e nel tempo. Per il prét-à- porter di Valentino in passerella ieri a Parigi Pierpaolo Piccioli parte dall'estetica vittoriana e arriva al Gruppo Memphis, il collettivo di architettura e design fondato negli anni Ottanta da Ettore Sottsass. È un'operazione corsara perché durante il regno di Vittoria le donne erano romantiche e austere, vestite di nero dal mattino alla sera ma piene di decori e gioielli nello stesso funereo colore imposto dalla regina in segno di lutto per l'adorato marito, il principe Alberto. Invece Memphis è il primo movimento culturale che guarda alle periferie del mondo creando una sorta d'impero dei segni colorati, giocosi, in una parola pop. Il risultato è sorprendente e alla fine produce qualcosa di veramente nuovo: un modello di cappotto a pannelli che alleggeriscono e sdrammatizzano la severa redingote vittoriana e un modo di tagliare i vestiti a tutta ampiezza dallo sprone in giù che cambia radicalmente i volumi. La sfilata comincia con un bellissimo abito nero che danza attorno alle caviglie delle modelle coperte e al tempo stesso rivelate dal nuovo stivale-feticcio della maison con una sorta di polacchino stile Dr Martens che lascia una porzione di pelle nuda sotto al gambale. Dopo il nero arrivano le piccole fantasie tipiche di Menphis e finalmente un cappotto così austero nelle forme così colorato e surreale nella stupenda allegoria (mani, numeri, fiori e buffe geometrie) disegnata da Nathalie Du Pasquieur che ha collaborato con Piccioli per le stampe. Sui colori e sulla costruzione dei capi ha fatto lui, come sempre benissimo. Così delle strisce di tessuto azzurro, di feltro nero o di velluto ciclamino diventano lo scheletro moderno di un abito vittoriano. Ci sono fiori stilizzati trasformati in un macramè di pelle, altri sono intagliati nel panno giallo- burro di un paletot. Ricami di jais sul trench, piume nere applicate perfino sul cosiddetto Love Blade (la collana che nasconde specchio e rossetto e che ora diventa anche charms da borsetta), un sublime vestito a redingote nero e la pelliccia in capra stropicciata ci fanno chiedere perché Pierpaolo non abbia lavorato solo sull'estetica vittoriana. L'uscita finale è stata la miglior risposta: senza il rosa abbinato al rosso, le tinte pastello delle ceramiche e quei disegni non a caso definiti post moderni si sarebbe perso il senso del nuovo. È un rischio che non si può correre da Céline anche per via del set progettato dall'artista concettuale Philippe Parreno che fa ruotare intorno alla passerella le isole su cui sono seduti gli ospiti. Si ottiene così un cambio di prospettiva continuo sui vestiti cui non serve neppure un filo conduttore perché ognuno racconta una storia riconducibile a Phoebe Philo, la talentuosa signora inglese che da tempo disegna il brand francese e di cui si dice pronto un miliardario ingaggio da Burberry. Vero o falso che sia anche stavolta madame fa un gran bel lavoro su giacche e cappotti dalle spalle esagerate, sulla camicia intesa come necessità, sulle borse grandissime o minuscole che hanno rifatto la fortuna del brand. Basterebbe il vestito da sera a tablier con lunghe frange nere per dire quanto è brava la Philo. Da Balenciaga Demna Gvasalia cambia tutto perché resti uguale l'eredità del mitico brand che in passato ha prodotto i più bei capospalla del mondo e dei vestiti da sera incredibili. I suoi sono diversi eppure straordinari: cappotti con l'allacciatura in diagonale, modernissimi trionfi di taffetà, le scarpe più nuove e colorate del momento.

Un bravo per questa sfilata non basta, ma bravo davvero anche Antonio Grimaldi che zitto zitto presenta la sua demi couture in un albergo parigino. Basterebbe l'abito da sera tagliato a poncho per far capire che la cultura sartoriale come la classe non è acqua.

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