Venezuela nella morsa Usa. Schierati 185 Tomahawk

L'obiettivo è cacciare Maduro. Trump apre il fronte Africa. "La Nigeria fermi le uccisioni di cristiani o attaccheremo"

Venezuela nella morsa Usa. Schierati 185 Tomahawk
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La tensione nelle acque di fronte al Venezuela ha raggiunto livelli senza precedenti. Ieri infatti è arrivato nei Caraibi da Norfolk, in Virginia, dove c'è la più importante base navale della Marina negli Usa che è anche la maggiore al mondo, l'incrociatore lanciamissili Uss Gettysburg che si è unito al suo omologo Uss Lake Erie, facendo salire il numero di missili Tomahawk disponibili nella regione a circa 115. Non bastasse, oggi arriverà in zona anche la Uss Gerald Ford, la prima nave della nuova classe di portaerei a propulsione nucleare Cvn-21 della Us Navy, la più moderna della flotta, salpata dal porto croato di Spalato lo scorso 26 ottobre per ordine del capo del Pentagono, Pete Hegseth. Accompagnata dai cacciatorpedinieri che la scortano con a bordo altri 70 Tomahawk. Con i nuovi arrivi oltre il 10% di tutte le risorse navali statunitensi sono attualmente schierate nell'area controllata dal Comando meridionale del Pentagono, il SouthCom, che sovrintende alle operazioni Usa in America centrale e meridionale. A impressionare sono soprattutto i numeri dei Tomahawk, comparabili solo ad altre campagne militari storiche come la Guerra del Golfo, Irak 1998 e Jugoslavia 1999, anche perché questi missili potrebbero colpire sia strutture dei cartelli della droga sia obiettivi legati al regime chavista. La flotta statunitense, già presente nei Caraibi con otto navi da guerra, sei dei quali distruttori, tre navi anfibie e un sottomarino, rappresenta lo "schieramento navale più grande in America Latina degli ultimi 25-40 anni" assicura Mark Cancian, senior advisor del think-tank Csis. Ieri Trump si è occupato anche della Nigeria, chiedendo al governo di fermare le uccisioni dei cristiani. In caso contrario, gli Usa si sono detti disposti ad attaccare: gli States "potrebbero benissimo entrare in quel Paese ormai caduto in disgrazia, a fucili spianati", ha avvisato il presidente americano. L'azione sul Venezuela invece, secondo l'ex inviato speciale a Caracas del primo mandato di Trump, Elliott Abrams, intervistato dal quotidiano cileno La Tercera, appare come una vera e propria pressione psicologica contro Maduro e l'esercito chavista, con possibili attacchi imminenti ma senza una vera invasione. L'obiettivo di Washington, a suo avviso, è infatti colpire il narcotraffico ma, allo stesso tempo, punire un regime criminale che da anni è coinvolto nel narcotraffico. Ieri Maduro ha tentato di rassicurare i suoi con discorsi sulla calma, ma la situazione è drammatica. Solo negli ultimi giorni gli attacchi a imbarcazioni e sottomarini collegati al traffico di droga hanno provocato almeno 61 morti. I bombardieri B-1 e B-52 e i reparti speciali Usa sorvolano le coste venezuelane, mentre la Cia starebbe lavorando segretamente - ma il condizionate è d'obbligo-, contattando ufficiali dell'esercito per sondare possibili defezioni. Il pericolo è insomma reale e ogni giorno cresce la probabilità di un'escalation militare diretta. Del resto quando ad agosto Washington ha raddoppiato la taglia su Maduro a 50 milioni di dollari, aveva inviato un segnale chiaro: il tempo del dialogo è finito.

Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ieri ha ammonito che il narcotraffico venezuelano non è un problema locale, ma globale. "Il fentanyl distrugge generazioni negli Stati Uniti", ha detto, precisando come l'intervento Usa sia inevitabile di fronte a un governo coinvolto nel crimine internazionale come quello di Maduro.

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