New York Donald Trump mette a segno la vittoria più importante della sua presidenza, la maggiore riforma fiscale americana dal 1986. La Camera Usa ha approvato il testo modificato dal Senato sul taglio delle imposte, e il provvedimento passa ora alla Casa Bianca, dove il tycoon intende firmarlo prima di Natale, mantenendo così una delle sue più importanti promesse elettorali. Un successo che il Commander in Chief ha festeggiato ringraziando il Congresso per aver sostenuto una «legge storica».
«È una vittoria straordinaria per le famiglie americane, i lavoratori e il business», ha continuato, ricordando che «la disoccupazione continua a scendere, i mercati sono ai massimi record, e gli stipendi presto cresceranno». «Tagliando le tasse e riformando un sistema a pezzi - ha detto - stiamo iniettando carburante da missili nel motore della nostra economia. L'America sta tornando a vincere di nuovo e cresceremo come non mai». Il cuore della riforma - che costerà 1,5 miliardi di dollari - riguarda i tagli delle tasse alle aziende, le quali vedranno l'imposta sul reddito passare dal 35% al 21%. Per i singoli individui è prevista una norma temporanea, che dovrebbe scadere salvo rinnovo nel 2025, e si passerà dall'attuale aliquota massima del 39,6% al 37%.
Intanto, prosegue la battaglia solitaria degli Usa su Gerusalemme all'Onu. Trump ha minacciato di tagliare i fondi ai Paesi che oggi in Assemblea Generale sosterranno la mozione (non vincolante) contro la decisione di riconoscere la Città Santa capitale di Israele. «Tutte quelle nazioni che prendono i nostri soldi e poi votano contro di noi al Consiglio di Sicurezza o all'Assemblea... Osserveremo i loro voti, lasciamo che votino contro di noi, salveremo un sacco di soldi, non preoccupatevi», ha tuonato. Parole che hanno fatto seguito al duro monito lanciato dall'ambasciatrice al Palazzo di Vetro, Nikki Haley, la quale ha assicurato che «gli Usa annoteranno i nomi» dei sostenitori della risoluzione anti-Trump. «All'Onu ci chiedono sempre di fare e donare di più - ha scritto su Twitter -. Quindi, quando prendiamo una decisione, su volontà del popolo americano, circa dove collocare la nostra ambasciata, non ci aspettiamo di essere presi di mira da quelli che abbiamo aiutato». Oggi «ci sarà un voto che critica la nostra scelta, e prenderemo i nomi». Il messaggio è arrivato dopo la lettera che Haley ha inviato a decine di Stati membri, in cui ha spiegato: «Il presidente seguirà questo voto attentamente».
Il consesso più ampio delle Nazioni Unite si esprimerà in sessione straordinaria sul testo, già presentato dall'Egitto in Consiglio di Sicurezza, dove è stato bloccato a causa del veto americano. In Assemblea invece viene richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti e non è previsto il diritto di veto. Pur se le decisioni non sono vincolanti, in questo caso vi è un importante peso politico, e Washington rischia un nuovo pesante isolamento dopo quanto accaduto in Cds. Dove il documento, non menzionando direttamente gli Usa o Trump, ha espresso «il profondo rammarico per le recenti decisioni riguardanti lo status di Gerusalemme».
Affermando che «le decisioni e le azioni che pretendono di alterare lo status della Città Santa non hanno alcun effetto giuridico, sono nulle e devono essere annullate in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza».
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