Renzi sfida i dissidenti Pd: "Senza riforme si torna al voto"

I ribelli pronti all'ok al nuovo Senato ma sulla legge elettorale sono decisi a dare battaglia

Renzi sfida i dissidenti Pd: "Senza riforme si torna al voto"

Roma - Oggi, nel voto sulla riforma del Senato, sarà la minoranza del Pd a dividersi. Un po' come è successo a ogni snodo importante per il governo Renzi: una gran parte della minoranza alla fine sta col premier (oggi tutta l'area che fa capo al presidente dei deputati Speranza voterà sì, col grosso dei bersaniani) mentre i soliti noti tipo Civati, Fassina, D'Attorre ma anche i cuperliani e i bindiani, hanno passato la serata a discutere se fosse meglio uscire, astenersi, andare a far pipì o altre forme di lotta. «Vogliamo segnalare il nostro dissenso ma senza confonderci con l'Aventino dei grillini», diceva Fassina per illustrare i corni dell'arduo dilemma.

Tutti sanno, però, che la vera partita non è quella della riforma costituzionale, su cui i numeri ci sono e che ha ancora davanti a sè un lungo percorso tra Senato e Camera, ma quella dell'Italicum. «Voteremo sì al ddl Boschi anche per riconoscere che, grazie ai nostri emendamenti accettati dal governo, è un po' migliorato. Come fu col Jobs Act», spiega Cesare Damiano, «Il problema resta invece per l'Italicum, che a nostro parere va cambiato, almeno riducendo il numero dei collegi, ma dal governo non c'è nessuna apertura». Non c'è e non ci sarà, garantiscono in casa renziana: una qualsiasi modifica al testo dell'Italicum votata dalla Camera rispedirebbe la legge al Senato. Dove la maggioranza è risicatissima e, senza i voti di Forza Italia, la minoranza Pd ha molto più potere di ricatto. E potrebbe - com'è nelle loro speranze - affossare la riforma elettorale, infliggendo una sonora sconfitta al premier.

Il quale però è pronto a sfidarli: «Sarà meglio che si facciano tutti due conti, nel Pd e fuori. Perché se una parte della maggioranza si compatta contro l'Italicum, e quindi contro il governo, la crisi è inevitabile». Un messaggio rivolto non solo ai suoi, ma anche a Forza Italia: il premier vuole vedere, di qui a maggio, quando si tornerà a parlare di legge elettorale a Montecitorio, cosa accadrà a destra, se il «no» del Cavaliere resterà tale e quanti in Fi daranno una mano al governo. Ieri alcuni ex M5S si sono intanto offerti al governo. Nel frattempo, Renzi ha riunito di nuovo i parlamentari su fisco e riforma P.A. (con le consuete assenze polemiche di Bersani &Co) e ha lanciato - via Repubblica - il primo ballon d'essai sulla riforma Rai.

Suscitando un vespaio di polemiche sulla nomina governativa dell'ad della futura tv pubblica, anche tra i suoi che stanno lavorando a una possibile mini-intesa con M5S per estromettere i partiti dalle nomine. Il Consiglio dei ministri, previsto per oggi, slitta a giovedì. E lì il premier vuol varare le «linee guida» della riforma Rai. Ma sulla nomina del nuovo ad il premier annuncia «massima apertura»: ascolterò tutti.

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