Zarina rossa addio: Dilma verso l'impeachment

La presidente Rousseff perde un pezzo di maggioranza. Brasile vicino alla svolta

di Livio CaputoSembra passato un secolo da quando nel 2009 il Brasile, allora guidato da un trionfante presidente Lula, idolo delle sinistre mondiali, ottenne l'organizzazione delle Olimpiadi 2016. Il Paese era in rapida ascesa, il suo petrolio, la sua soya, il suo ferro erano contesi da tutto il mondo e grazie a una generosa (anche se eccessivamente dispendiosa) politica sociale, 30 milioni di persone erano state sottratte alla povertà. In soli sette anni, il quadro è completamente mutato: a pochi mesi dall'inizio dei Giochi, il Brasile, ora governato dall'ex partigiana comunista Dilma Rousseff, è nelle spire di una delle più gravi crisi della sua pur tormentata storia: una crisi così grave, così pervasiva, che secondo un recente sondaggio quasi la metà dei cittadini giustificherebbe un nuovo golpe militare che facesse piazza pulita della classe politica ed eliminasse la spaventosa corruzione.Le Forze armate sono state troppo ridimensionate dopo il ritorno della democrazia per potere intervenire. Ma una specie di golpe, attraverso una versione brasiliana di Mani Pulite, potrebbero portarlo a compimento i magistrati (guidati dal giovane italo-brasiliano Sergio Moro) che indagano sullo scandalo Petrobras, la compagnia petrolifera nazionale che durante gli 11 anni di governo del Partito dei lavoratori ha distribuito tangenti per miliardi. Secondo l'accusa che ha portato al suo clamoroso fermo, perfino allo stesso Lula.La situazione è catastrofica sia sul fronte politico sia su quello economico. La presidente Rousseff, la pupilla di Lula che ha ottenuto da poco (ma con un margine ristrettissimo) un secondo mandato, è ogni giorno più debole. Il Congresso ha avviato nei suoi confronti un processo di impeachment per avere truccato il bilancio dello Stato, approvato dal 68% dei brasiliani che, sia pure in tempi abbastanza lunghi e con una procedura molto complessa, potrebbe portare alla sua destituzione. Uno dopo l'altro, i partiti con cui governava le stanno voltando le spalle e ritirano i loro ministri dal governo. L'ultimo, tre giorni fa, è stato il Movimento democratico brasiliano (Pmdb), con 68 deputati su 513 il più numeroso del Parlamento, di cui fa parte anche il vicepresidente Michel Temer che aspira a prendere il suo posto. L'indice di popolarità della presidente è al 13%, e probabilmente sta scendendo ancora dopo il maldestro tentativo di salvare Lula da un probabile processo per corruzione cooptandolo nel governo (ma un giudice ha bloccato la nomina).Nelle scorse settimane, quasi 4 milioni di brasiliani sono scesi in piazza al grido di «Fora Dilma» e, se non riuscirà a recuperare consensi tra i 25 partiti minori, e a rappezzare in qualche modo la compagine ministeriale dopo l'uscita del Pmdb, potrebbe perfino essere costretta alle dimissioni. Il guaio è che coloro che cercano di scalzarla non sono migliori di lei. I presidenti del Congressso e del Senato, Eduardo Cunha e Renan Calheiros del Pmdb, sono entrambi indagati, al pari di 352 dei 594 parlamentari. Alcuni sono stati addirittura condannati, come un certo Hildebrando Pascoal, associato con uno squadrone della morte che faceva a pezzi le sue vittime con una sedia elettrica, ma in base alla ultragarantista Costituzione del 1988 non possono essere rimossi. L'indice di popolarità del Parlamento è dell'11%, addirittura inferiore a quello di Dilma, e solo il 29% dei cittadini si identifica con un partito.Quanto all'economia, il Brasile sta subendo la peggiore recessione dagli anni Trenta. A causa anche del crollo dei prezzi delle materie prime, il Pil è sceso nel 2015 del 4% e dovrebbe perdere altri tre punti quest'anno. Il bilancio presenta un deficit del 10%, l'inflazione si avvicina al 12 e, a causa anche dei vincoli costituzionali, il 90% della spesa pubblica è intoccabile. A causa di anni di protezionismo imposti dalla sinistra, la produttività è bassissima e i lavoratori sono praticamente illicenziabili. La burocrazia è considerata la peggiore del Sudamerica, tanto che le aziende perdono per gli adempimenti fiscali otto volte più tempo della media del resto del continente. Il primo ministro delle Finanze della Rousseff, l'indipendente Joaquim Levy, ha cercato di raddrizzare in qualche modo la barca, ma dopo neppure un anno, disperato, si è dimesso. Il suo successore, Barbosa, sta cercando di fare lo stesso, spingendo addirittura per una modifica di una Costituzione che prevede più diritti che doveri, ma il Partito dei lavoratori lo ha bloccato.

Nessuno oggi può dire come sarà il Brasile quando arriveranno atleti e turisti da tutto il mondo per i Giochi. L'ipotesi peggiore è il caos, la migliore un governo di unità nazionale, guidato da Temer e comprendente anche l'opposizione liberale, in attesa di elezioni anticipate.

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