C'è del buono e c'è del nuovo nella comunicazione di Matteo Renzi degli ultimi giorni. Peccato che, come diceva Rossini a un giovane compositore che gli faceva ascoltare le sue opere, il buono non sia nuovo e il nuovo non sia buono. Quattro punti più uno: 1) il surplus tedesco e la (finta) polemica con Frau Merkel; 2) la deflazione; 3) il taglio delle tasse in deficit; 4) il Jobs act. L'ultimo punto, il quinto: Renzi non è la soluzione, ma il problema. Si faccia da parte.
1 Il surplus tedesco Renzi si è finalmente reso conto che «se la Germania riducesse il suo surplus commerciale, oggi al 7,6%, ai limiti europei, che sono al 6%, sarebbe qualcosa come 38-40 miliardi di euro di investimenti da fare in Germania. Vale per l'Olanda e vale per altri paesi». «È il surplus dell'economia tedesca il killer dell'Europa», abbiamo scritto tante volte sul Giornale. Se la Germania reflazionasse, se spendesse, cioè, in tutto o in parte il suo surplus accumulato in questi anni di euro, l'Europa potrebbe essere fuori dai guai in un paio di anni. La Germania insieme ai suoi Stati satellite, deve rientrare, come previsto da Six Pack e Fiscal Compact, al di sotto del 6%, cosa che finora non ha fatto, e spendere il proprio surplus per cambiare il metabolismo dell'eurozona.Un esempio: dimezzare il surplus della Germania significa mettere in circolo almeno 100 miliardi di euro (3,5 punti di Pil tedesco); più di 150 miliardi se anche Olanda, Svezia e Danimarca faranno lo stesso. Il risultato sarà una spinta positiva, di almeno un punto, alla crescita di tutta l'area euro. Tutto questo lo stiamo dicendo da almeno due anni, ma Renzi è fatto così: non riconosce il copyright. Peggio per lui. Copione e bocciato.
2 La deflazione Le improvvisate dichiarazioni sulla deflazione di Renzi a Bruxelles non stanno né in cielo né in terra. Ha detto che per vincere l'inflazione negativa non basta la politica monetaria della Bce, ma serve una politica economica seria in tutti gli Stati dell'Ue. Parole sante. Ma non ha fatto altro che ripetere quelle di Mario Draghi, senza rendersi conto che proprio a lui si riferiva il presidente della Bce quando le ha pronunciate.Ci dica Renzi cosa ha fatto in due anni di governo. Fino ad ora zero investimenti, e no riduzione della cattiva spesa pubblica. Anzi, con Renzi quest'ultima è aumentata a causa dei vari bonus acchiappa-consenso che si è inventato, dagli 80 ai 500 euro, come inevitabilmente sono aumentati pure il deficit e il debito.Piuttosto, se fosse stato uno statista, Renzi avrebbe spiegato agli italiani come, proprio per effetto della deflazione, i suoi conti pubblici siano tutti da rifare. Significa che il governo si ritroverà presto, a causa delle proprie stime esagerate, ormai fuori dalla realtà, un buco di bilancio di 40-50 miliardi che dovrà colmare con una manovra monstre ad ottobre. Bocciato di nuovo.
3 Il taglio delle tasse Avevamo spiegato anche questo a Renzi, ma al contrario di quanto fatto con la reflazione tedesca, non ha voluto ascoltarci. Abbiamo provato in tutti i modi di dimostrare che tagliare le tasse in deficit non ha alcun effetto positivo sull'economia, perché famiglie e imprese non spendono e non investono, consapevoli del fatto che per ripagare il debito che si crea oggi verranno aumentate le tasse domani.Non lo diciamo noi, è la cosiddetta «equivalenza ricardiana». Ci sarebbe una variante che consente di superarla, ma che Renzi comunque non ha colto. I sacri testi insegnano che per uno Stato l'unica giustificazione economica e morale per fare deficit, e di conseguenza debito, sono gli investimenti. Bene, quindi, per uno Stato indebitarsi, ma solo se, attraverso gli investimenti, quell'indebitamento porta a dei miglioramenti per chi dopo dovrà pagare il conto. Per esempio: più asset, più infrastrutture, più tecnologia, più reti, più capitale umano, più sicurezza, più produttività, più competitività.Al contrario, è immorale, oltre che sbagliato, indebitare le generazioni future per consumare di più nel presente. Anche qui, Renzi bocciato senza appello per manifesta e colpevole ignoranza.
4 Il Jobs act Strano silenzio, invece, questa settimana, del presidente del Consiglio sui dati Inps di gennaio 2016. Eravamo abituati ai tweet mensili sui prodigi del Jobs act e, anche in questo caso, avevamo avvertito Renzi del rischio «bolla», in quanto gli incentivi avrebbero soltanto drogato il mercato del lavoro piuttosto che farlo ripartire.Ma quando le previsioni dei gufi si sono realizzate, con la pubblicazione dell'Inps da cui emerge che nel 2016 con il dimezzamento degli incentivi si sono dimezzate le assunzioni, il premier tace. Non twitta più. Meglio far passare sotto silenzio la cosa. Riconosciamo, invece, l'onestà intellettuale del ministro Poletti, che ha spiegato come il calo di gennaio 2016 fosse prevedibile, ma che questo significa anche che gli incentivi hanno avuto un effetto distorsivo del mercato del lavoro, il quale, al contrario, dipende dalla dinamica del Pil. Se l'economia non cresce almeno del 2%, causa incrementi fisiologici della produttività, di posti di lavoro aggiuntivi non se ne crea neanche uno. Se frena l'economia non ci sono sgravi che tengano. Come per i già citati bonus degli 80 euro e dei 500 euro, anche le risorse destinate agli incentivi del Jobs act sono stati soldi buttati al vento, che potevano essere utilizzati, invece, per fare buoni investimenti (vedi il punto precedente).
Matteo Renzi si sta dunque incartando, non sa più che pesci prendere. Eppure, non è di lui che ci meravigliamo, ma del ministro professor Padoan, che era un bravo economista, mentre ora è diventato uno yes man pronto a fare tutto quello che ordina il suo presidente del Consiglio, senza pudore. Dai due giorni di Consiglio europeo a Bruxelles è emerso che il governo italiano e la sua illegittima, anomala, raffazzonata, precaria, fragile, raccogliticcia, inesistente maggioranza non saranno in grado di reggere la nuova emergenza immigrazione (che si paleserà a partire dalle prossime settimane con il bel tempo), il terrorismo (da cui il nostro paese purtroppo non sarà esente) e soprattutto la crisi economica (che toccherà tutti, ma che riguarderà particolarmente noi grazie proprio alla politica economica sbagliata del duo Renzi-Padoan). Questo clima dovuto a queste tre emergenze non potrà non tradursi in un definitivo no al referendum confirmativo della riforma costituzionale (con annessi e connessi in termini di Legge elettorale). Un no per mandare a casa Renzi e ripristinare la democrazia in Italia.
Di questo il presidente del Consiglio (si fa per dire) prenda atto al più presto. E faccia un doveroso passo indietro. Sapranno le forze politiche trovare la soluzione migliore per il paese di fronte all'emergenza. Ormai è chiaro a tutti: Renzi non è la soluzione, ma il problema.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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