Fabrizio de Feo
da Roma
Michele Santoro mette in scena il suo ultimo show. E, a pochi mesi dalle elezioni, torna a vestire i panni del guastatore e del «martire televisivo» in attesa di collocazione, scatenando una tempesta degna dei suoi tempi migliori. Una sortita corredata dalla volontà di cogliere lattimo e sfruttare il «cuneo» rappresentato dallinvito alla trasmissione di Adriano Celentano: un palcoscenico ideale per tornare agli onori delle cronache e al centro del monoscopio.
Loffensiva del creatore di Samarcanda non passa certo inosservata sul fronte politico. E così, sugli schermi delle agenzie di stampa, si riversa una vera e propria una pioggia di reazioni: tra lindignato e lironico quelle degli esponenti della Cdl; solidali e festose quelle dei parlamentari del centrosinistra. Un festival di commenti su cui, in prima battuta, cala il disco rosso del capo degli affari legali della Rai, Rubens Esposito che fa sapere che «fino a quando le dimissioni non saranno formalizzate dal parlamento europeo, Santoro rimane un soggetto politico. E come tale non può figurare come ospite in una trasmissione di intrattenimento». Il messaggio appare chiaro: la presenza a Rockpolitik del giornalista salernitano - assunto dalla Rai nel 99 a tempo indeterminato con la qualifica di direttore ad personam e una collocazione alle dirette dipendenze del direttore generale - rappresenta una violazione di una regola aziendale, peraltro varata alcuni mesi fa dalla commissione di Vigilanza allora guidata dallattuale presidente di Viale Mazzini, Claudio Petruccioli. In serata, però, la Rai puntualizza che non cè alcun veto alla partecipazione di Santoro e che il giornalista sarà regolarmente ospite di Adriano Celentano.
La tempesta delle dichiarazioni incrociate, però, non si placa. «È legittimo che ciascuno decida della propria sorte politica ma utilizzare le istituzioni come parcheggio o sala dattesa nella speranza di poter presto tornare in Rai non mi sembra il massimo» commenta Ignazio La Russa. Ad Antonio Tajani, presidente degli europarlamentari di Forza Italia, «spiace che Santoro abbia in così scarsa considerazione il Parlamento da lasciarlo un anno dopo il voto. Non ci si può prendere gioco delle istituzioni come se fossero un prodotto usa e getta». Se il consigliere Rai, Giuliano Urbani, si limita a richiamare «il dovere di rispettare le regole», Maurizio Gasparri liquida come «un espediente patetico e ridicolo le dimissioni nella giornata prima della trasmissione, una sorta di vilipendio alla pubblica opinione. La sinistra, come sempre, piega le regole a secondo della convenienza». Al di là della disputa legale, cè anche unaltra lettura del caso che viene fornita da alcuni esponenti del centrodestra. «Il fatto che Santoro non sia un personaggio politico è una cosa comica, è satira» dice il ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi. E tanto il leghista Davide Caparini quanto Alessio Butti di An sottolineano che «gli esponenti politici per essere tali non devono risultare necessariamente eletti. Altrimenti Prodi potrebbe andare in qualsiasi trasmissione di intrattenimento in quanto non ha né un partito né ricopre una carica risultato di unelezione».
Nel centrosinistra il neopresidente della Vigilanza, Paolo Gentiloni auspica il ritorno in video di Santoro, mentre Sandro Curzi spiega che «per Santoro, il pur importante e delicato incarico di europarlamentare era solo una testimonianza di impegno civile, in attesa di poter far ritorno alla sua casa professionale». Per il consigliere di Viale Mazzini, Carlo Rognoni, il parere legale della Rai «non è ispirato al buon senso» mentre per Piero Fassino le dimissioni «tolgono ogni alibi ai dirigenti di Viale Mazzini». Laconico e piccato è il commento di Lilli Gruber, colei che molti nel centrodestra giudicano come una seria candidata a percorrere le orme di Santoro. «Io a Strasburgo sto lavorando seriamente e continuerò a farlo» promette senza aggiungere una parola di più. Roberto Benigni, invece, se la cava con una battuta. «Santoro si è dimesso per andare da Celentano? Adesso faccio un programma, invito Berlusconi e può venirci solo se si dimette anche lui». Chi, invece, cerca di gettare acqua sul fuoco è Alfredo Meocci. «Leggo con crescente perplessità una grandinata di dichiarazioni su Rockpolitik» commenta il direttore generale della Rai.
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