POP ART La «centrifuga» impazzita delle immagini

Nell’agosto del 1956 moriva Pollock e a Londra si apriva la mostra «This is tomorrow» alla Whitechapel Gallery, che già parlava «pop»; nel 1967 le prime agitazioni di studenti in America annunciavano i rivolgimenti dell’anno successivo. Questo è l’arco temporale interessato dalla parabola eclatante della Pop Art, secondo il percorso tracciato dalla mostra - la prima di questa portata in Italia - in apertura alle Scuderie del Quirinale.
Un fenomeno di costume e d’arte, in un legame che in questo caso diventa un circolo virtuoso di immagini prese a prestito e restituite al circuito della comunicazione dilatata, in uno scambio potenzialmente infinito; un fenomeno lanciato dagli Stati Uniti all’inizio degli anni Sessanta con la forza propulsiva con cui i russi avevano appena lanciato lo Sputnik. La Pop Art viene oggi restituita alla molteplicità dei suoi volti attraverso 100 opere di artisti europei e statunitensi che ben oltre le solite sempreverdi Marilyn, zuppe e bandiere, declinano pittura e scultura di oggetti delle più varie nature artificiali, di figure e paesaggi urbani.
Addirittura nel recupero - paradossale - degli antichi «generi» e persino delle tecniche tradizionali, come afferma Walter Guadagnini che ha curato la mostra e ne espone nel catalogo le linee guida, l’artista pop partecipa del proprio tempo tanto profondamente, trascinando nel territorio dell’arte il mondo intorno.
Tra gli artisti ospitati in questa eccezionale occasione, compaiono anche inglesi, francesi, italiani, qualcuno dalla Spagna e dalla Germania, perché se il movimento è in primo luogo statunitense è pur vero che nasce in rapporto stretto con l’ambiente artistico e musicale londinese, ad esempio, di Richard Hamilton (al quale si attribuisce l’opera prima e la qualifica di Pop Daddy, oltre che la copertina, assieme a Blake di un paio di dischi dei Beatles), e che gli sviluppi sono stati ampi, illustrati qui sin nei riflessi «periferici», dal punto di vista delle tradizionali capitali dell’arte. Anche l’Italia, non marginale per qualità delle opere e tempestività degli apporti ma in posizione subalterna nella storiografia sull’argomento, è ben rappresentata da Baj, Mauri, Rotella, Schifano, Pascali, Pistoletto, Fioroni, Ceroli, Festa, Lombardo. Carrozzerie lucenti, volti della mitologia moderna, corpi di pin-up, «disegni» nello spazio fatti di tubi di neon, rielaborazioni di miti pittorici; tutto è riunito per temi: dall’oggetto-merce al corpo-merce nella sfera della sessualità, dai ritratti di celebrità al mondo del fumetto, della pubblicità, della cultura alta. La Pop Art (da «popular» e forse da «pop», scoppio) mostra di sé, a cinquant’anni dalla nascita, la sua internazionalità e il legame con le singole culture d’origine, lo spirito ribelle e il destino conformista, la vocazione democratica di soggetti subito comprensibili e l’esigenza di elaborazione profonda, la voglia di dipingere di nuovo appartenendo più che mai al tempo presente.

Il risultato è la storia di un’epoca intera, sia pur contratta in poco più di un decennio, viva tuttora nella sensibilità visiva e musicale, celebrata e maledetta dalla moltiplicazione della propria immagine.
Pop Art! 1956-1968. Scuderie del Quirinale. Via XXIV Maggio, 16, fino al 27 gennaio 2008 Orari: da domenica a giovedì 10-20; venerdì e sabato 10-22.30; Ingresso: intero 10 euro, ridotto 7,50.

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