«Portiamo Pompei a Varese, così la salviamo dalla camorra»

Il neo-direttore dei nuovi Musei Vaticani illustra la propria ricetta per i tutelare beni culturali

da San Pietroburgo
«Pompei? Trasferiamola a Varese, sottraendola al suo contorno malavitoso». «Il miglior ministro italiano dei Beni culturali? Il fascista Giuseppe Bottai. Fece nel ’39 le uniche due buone leggi per la tutela dei beni artistici e del paesaggio». «Il pericolo maggiore per il paesaggio? La regionalizzazione delle soprintendenze che le espone al prevalere degli interessi locali, primo fra tutti l’urbanizzazione massiccia».
Occorre andare all’estero per poter dire tranquillamente le cose scomode. Antonio Paolucci, soprintendente del polo museale fiorentino, già ministro dei Beni culturali e fresco direttore dei nuovi Musei vaticani, parla chiaro. Lo fa da San Pietroburgo, dove ieri è stato insignito del Premio Grinzane Ermitage alla sua seconda edizione. Accanto a lui porta la corona del prestigioso riconoscimento dedicato all’arte lo storico russo Vadim Borisovic Vilinbakhov, vicedirettore dell’Ermitage e fra i massimi specialisti di storia militare e di araldica russa. Gran festa ovviamente, intorno ai due vincitori con gli scambi di congratulazioni fra il presidente del Grinzane, Giuliano Soria, il direttore dell’Ermitage, Mikhail Piotrovskij, la presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso che annuncia l’avvio di una collaborazione fra la scuola di restauro della reggia sabauda di Venaria Reale e quella dell’Ermitage, accordo siglato con la collega governatrice della città-regione di San Pietroburgo, Valentina Ivanovna Matvienko, e la sovrintendente Vera Dementyeva.
Se è vero come è vero, ha spiegato Paolucci nella lectio magistralis, che sono le grandi collezioni nate da una volontà regale - Versailles, le raccolte vaticane, la Galleria Borghese, l’Ermitage, l’Escurial - a rappresentare spirito e identità di un popolo, è altrettanto vero «che queste raccolte, oggi patrimonio comune, se potessero parlare, ci direbbero che stavano molto meglio quando erano proprietà privata di coloro che le vollero come espressione di potere e sfarzo dinastico: i Romanov, i Borghese, i Borbone. Quando erano pochi quelli che le potevano vedere e molti gli addetti alla loro cura e conservazione». È arrivato il momento di non esaltarsi per le 2000 persone che ogni giorno entrano nella Cappella Sistina o per il milione e mezzo di visitatori annui degli Uffizi. «Di questo passo - ammonisce - finiremo per distruggerli in breve tempo. Lasciamo perdere i grandi numeri e il clamore mediatico che oggi ci assorda.

Riduciamo i tempi di apertura delle gallerie, abbassiamo le luci che danneggiano pitture e affreschi, rinunciamo a sbandierare con orgoglio i milioni di piedi che calpestano i luoghi d’arte e imponiamo il numero chiuso, la prenotazione on line. Lo si fa per il ristorante, lo si potrà ben fare per i musei».

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