Povero Bocchino, lui non può nemmeno dimettersi

Fini dichiara di essere pronto a dimettersi se verrà accertato che dietro la società off shore proprietaria della casa di Montecarlo c’è il cognato. Ma non basta la dichiarazione ufficiale di un ministro? Bisogna quindi dedurre che il nostro presidente della Camera ritiene quel ministro un bugiardo o un corrotto? E il contratto d’affitto dove le firme del locatore e del locatario sono identiche non è una prova sufficiente? E la lettera con le spese dell’amministratore di condominio indirizzata a «Printemps (Mr. Tulliani)» non dice nulla? Quali altre prove vorrebbe Fini per avere la certezza? Non certo un documento che attesti la proprietà della società, dato che, come abbiamo visto in questi giorni, è facile definirlo una patacca (perfino dopo la conferma del ministro che avendolo scritto attestava la sua veridicità). In realtà la prova più inconfutabile ce la dà lo stesso Fini nella sua risposta scritta in 8 punti di inizio agosto (ma non usano più le interviste coi giornalisti?), dove si legge testualmente al punto 7: «La vendita dell’appartamento è avvenuta il 15 ottobre 2008 dinanzi al Notaio Aureglia Caruso e sulla natura giuridica della società acquirente e sui successivi trasferimenti non so assolutamente nulla». Dato che invece il 15 ottobre presso il notaio Aureglia Caruso c’è stata la vendita dalla prima società off shore alla seconda (An ha venduto alla prima società l’11 luglio presso un altro notaio), come poteva Fini conoscere quella circostanza da lui sottoscritta se era all’oscuro di tutto?
Rimini

Ciò che dice non fa una grinza, caro Bonatelli, non una. D’altronde con la sua dichiarazione videoregistrata Fini ha abbondantemente messo le mani avanti (per evitare di cascare indietro) affermando d’esser stato, forse, troppo ingenuo. Ma vede, non è tanto il farefuturista presidente della Camera che oggi mi interessa. Sì, lo so, è lui nell’occhio del ciclone, è lui il protagonista, è lui che deve darsi una mossa e decidersi se tenersi o mollare la poltrona. Però in queste ore la mia attenzione è rivolta sa a chi? A Italo Bocchino, l’eccipiente della politica italiana che per settimane e come un disco rosso ci spaccò i timpani con i suoi: «Dossieraggio, dossieraggio, dossieraggio...». Quel Bocchino che liquidò il documento sulla società off shore come «patacca», un falso materiale e se non materiale, ideologico. Il Capitan Fracassa capogruppo dei futurliberalisti, piffero di montagna che andò per suonare e fu suonato. Non ch’io sia preoccupato, ma da qualche ora il più verboso e presenzialista parlamentare del pianeta tace. Alla tivvù o alla radio non risuona più il suo grido di guerra: «Dossieraggio!». Tace. Si potrebbe pensare che se tace, pensa. Ma per esercitare l’attività del pensiero sviluppando un processo mentale ci vuole, minimo, la mente, ovvero l’insieme delle facoltà intellettive, quel che si dice anche l’intelligenza. E qui non so a lei, ma a me sorgono non pochi dubbi, caro Bonatelli. Comunque sia, da come ha agito e parlato negli ultimi tempi non mi pare che il Bocchino sia di svegliato ingegno, tale comunque da indurlo a tenere di riserva un piano «B». Egli si troverebbe dunque nella condizione dell’allegro boscaiolo che segò il ramo sul quale stava a cavalcioni. E sempre restando nell’ambito della metafora mai s’era visto uno maneggiare tanto bene e con tanto impegno la sega come il Bocchino. In fondo Fini se la potrà sempre cavare con onore lasciando, a esempio, la carica istituzionale che ricopre. Vittima della sua ingenuità, si dirà.

O di quel sortilegio ben descritto dall’antica e convalidata massima che chiama in causa la pariglia di buoi, se capisce cosa voglio dire, caro Bonatelli. Ma il Bocchino? Di quale via d’uscita dispone, per salvarsi la faccia, se non dimettersi da uomo?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica