Dicono i parroci che Nostro Signore metta i carichi più pesanti sulle spalle più resistenti. Cioè assegni le prove più dure agli uomini migliori. Così è certamente per Cesare Prandelli. A cinquant’anni esatti, l’allenatore gentiluomo che non strilla mai, l’impareggiabile educatore di giovani talenti, ma oggi soprattutto marito devoto, si ritrova dimezzato. L’altra metà ha smesso di soffrire, e va a godersi la beatitudine celeste.
È un periodo strano: il calcio italiano sembra condannato ad espiare le sue follie incontrando ogni giorno un buon motivo per ammutolire. C’è un nuovo lutto, nella grande famiglia: questa volta diverso, senza chiasso e senza sommosse, ma profondo e insanabile. Prandelli e i suoi due figli piangono Manuela, sposa innamorata, mamma dolcissima. È una di quelle notizie che spazzano via tutti i colori e tutte le bandiere, accomunando anche le fazioni più cieche e più turbolente in un unico sentimento di totale dispiacere. Il motivo è semplicissimo: Prandelli è un nome e un simbolo della nobiltà sportiva. Della poca che resta. Né santo, né eroe: semplicemente, uomo.
La sua storia affettiva, poi, fa il resto. Cesare e Manuela che si incontrano giovanissimi nella piazza di Orzinuovi, il loro paese di sempre, nella Bassa Bresciana. Cesare che se la sposa quando lei ha solo 19 anni. E poi l’arrivo dei due figli: Niccolò, che ora ha 24 anni e come diplomato Isef aiuta il papà alla Fiorentina, e Carolina, che ne ha 21 e ancora va all’università. Cesare che gioca nelle piccole squadre, come Cremonese e Atalanta, e Cesare che vince tutto nel grande club, accanto a Platini, ma sempre con lo stesso registro di ragazzo semplice, leale, perbene. Al suo fianco, nel modo discreto che la mondanità coatta dei nostri giorni pallonari nemmeno si sogna, immancabilmente Manuela. Come si sono giurati quel giorno davanti alla croce: nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi...
Quando c’è tutto per essere felici, la vita può solo peggiorare. Dopo la buona, la cattiva sorte. Nel Duemila, la prima aggressione del solito male impronunciabile, che la stessa Fallaci ha pronunciato soltanto con l’epiteto di «alieno». È un male per l’intera famiglia: insieme, come sempre, come le gioie e come i trionfi, i Prandelli l’affrontano. È dura, ma inizialmente sembrano farcela. Nel frattempo, Cesare prende il volo anche come allenatore. Nell’estate del 2004, la storia che nessuno dimenticherà mai. Ai primi di luglio firma finalmente per una grande squadra, la Roma: contratto di tre anni, progetti di scudetto. Nell’attesa di cominciare, con Manuela decidono di concedersi una vacanza a Formentera. Ma è proprio lì che Manuela avverte di nuovo strane sensazioni. Malori che sono presentimenti. Eppure non dice niente: non vuole rovinare l’armonia del periodo, la serenità di quei giorni. Quando torna, però, le analisi non concedono scappatoie. Bisogna ricominciare la dura battaglia. È fine agosto: una settimana dopo aver festeggiato il 47esimo compleanno con una bicchierata a Trigoria, Prandelli si ripresenta nello spogliatoio per salutare. Spiega: «Mia moglie sta male, il mio posto è accanto a lei. Ho provato a dividermi tra il lavoro e il chiodo fisso che mi tormenta, ma non ce la faccio. Scusate, mi fermo qui».
Il calcio è scosso. L’Italia intera è scossa. La semplice rinuncia di un marito devoto, di un uomo giusto e lineare, provoca lo scandalo positivo. C’è emozione. Quasi una specie di incredulità. Come davanti a un prodigio inspiegabile...
Purtroppo, la bella e triste storia di Cesare e Manuela non ha lieto fine.
A 45 anni, nel fiore degli anni, lei se ne va. Per lui, resta solo la malinconia del rimpianto. E forse, domenica prossima, da tutte le curve, anche un applauso particolare: il grande applauso alla dignità di una sconfitta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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