Il premier ora teme lo sgambetto finale

Il voto finale sulla Finanziaria si avvicina, e a Palazzo Madama torna a crescere la tensione.
Le operazioni di guerra dei nervi si intensificano, come dimostra il «caso Randazzo», il senatore australiano che ha pubblicamente declinato l’offerta di passare con la Cdl. Un caso accuratamente cucinato per i media dall’Ulivo, che fin dal mattino annunciava un colpo di scena, e mirato a seminare scoramento nelle file opposte. Ma nel centrosinistra si respira un’aria di nervosa attesa: perché «se c’è un’operazione politica per far cadere il governo lo si vede solo all’ultimo, non certo sugli emendamenti», spiega la sottosegretaria ds Elena Montecchi. E nessuno se la sente di escludere che ci sia. I sospetti si appuntano di nuovo su Dini: governo e maggioranza lo stanno inseguendo da giorni, con la sinistra che ingoia ogni compromesso (dai precari ai tetti degli stipendi manageriali) pur di tenersi i suoi tre voti. Ma lui continua a rivendicare «mani libere» e a rilanciare, scontrandosi apertamente con Rifondazione.
E i segnali di movimenti sotterranei sono molti. Gli ex ulivisti Manzione e Bordon si dicono disposti a far saltare il tavolo pur di bloccare la legge elettorale proposta da Veltroni.

Cossiga è ricomparso ieri al Senato per annusare l’aria, ribadendo il suo no al governo se Prodi insiste sulla commissione d’inchiesta sul G8. E la maggioranza sta cercando di convincere Ciampi a venire almeno per il voto finale, ma non ha ancora avuto una risposta definitiva.

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