Il premio al tranviere eroe «Un modello per tutti noi»

Medaglia d’oro anche alla memoria del professore Claudio Monti, «allenatore di umanità»

Non chiamatelo eroe. «Non mi sento un eroe, ho fatto una cosa normale, che dovrebbero fare tutti. Se ci fosse meno indifferenza, ci sarebbe meno criminalità». Ma, ammette, dell’Ambrogino è proprio orgoglioso, contento di averlo ricevuto dalla mani del sindaco Letizia Moratti, che non ha esitato ad abbracciare davanti ai flash dei fotografi, più spigliato di tanti vip in sala. Ed è stata una standing ovation, ieri mattina al teatro Dal Verme, per Pasqualino Di Carlo. «Un semplice cittadino - spiega la Moratti nel suo discorso alla città, prima di consegnare le Civiche benemerenze - un autista dell’Atm gravemente ferito nel tentativo di difendere una donna durante un’aggressione. Nel suo gesto di grande coraggio si riconosce l’intera città. Un eroe contemporaneo, che è un modello di altruismo per tutti».
Trentaquattro anni, nato in provincia di Enna, Pasqualino Di Carlo fa il tranviere dal 1999. A maggio, non ha esitato un attimo a mettersi tra una donna di 42 anni, Giovanna, che ieri era al Dal Verme per applaudire il suo «angelo», e il suo aggressore in viale Abruzzi. Un atto di coraggio che gli è costato una grave ferita: una coltellata gli ha reciso un’arteria, ma il pronto intervento dei medici gli ha salvato la vita.
Gli uomini e le donne premiate con l’Ambrogino sono «come stelle del cielo più bello di Milano». Parole, quelle della Moratti, che suonano così vere quando a ritirare la Medaglia d’oro alla memoria sono la moglie del professor Claudio Monti, Anna Pogliani, e i figli Elena, Silvia e il piccolo Marco. Oltre duemila persone, lo scorso 19 maggio, affollarono la basilica di Santa Maria delle Grazie per dire addio al professor Monti, insegnante di educazione fisica, morto a soli 49 anni durante un incidente. I suoi ragazzi della scuola media «Mauri», con gli occhi gonfi, le loro mamme e i papà, gli amici accorsi a salutare quello che il sacerdote aveva definito come un «allenatore di umanità». «Prof, per sempre con noi» era scritto quel giorno su uno striscione.
Claudio Monti, è il ritratto letto ieri mattina al microfono, «comincia come giocatore di basket nel Pentagono a Milano per poi passare alla Pallacanestro Milano e diventare allenatore, lavorando principalmente con i giovani. A lui si deve la nascita della Polisportiva all’interno del collegio San Carlo e del Centro Olimpia della Scuola media Mauri, dove insegnava». Sapeva essere «punto di riferimento e rispettato insegnante di vita, oltre che di sport. Si è dedicato con generosità alla diffusione della pratica sportiva». Ha saputo diffondere «positività e valori, uomo di grande forza d’animo, nonostante le tragedie della vita».

Non aveva perso la gioia di vivere, il professor Monti, anche se il destino gli aveva riservato due dolori immensi, la perdita del primo figlio, Andrea, dopo sei anni di malattia, e quella della piccola Marta, la quinta figlia, che morì a soli due mesi. Un maestro di sport e di vita. Al suo addio, ha ricordato ieri la Moratti, «tutta Milano si è commossa per la grande partecipazione di giovani e per l’amore che lo circondava». Come stella del cielo più bello.

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