Presidente Napolitano, ecco come il terrorismo ha stravolto la mia vita

Lettera aperta al capo dello Stato dal nipote del brigadiere Ciotta, vittima di Prima Linea

Potito Perruggini Ciotta*

Illustrissimo presidente della Repubblica, mi sia consentito ricordare che il 12 marzo 1977, a Torino, il ventinovenne fratello di mia madre, brigadiere Giuseppe Ciotta in servizio all’Antiterrorismo del Piemonte, venne trucidato con tre colpi di pistola da un commando di Prima Linea per mano di Enrico Galmozzi (condannato definitivamente a 27 anni ma libero dopo 13).
Avevo 12 anni. Da allora la mia vita e quella dei miei familiari sono state condizionate da quella tragedia. Soprattutto perché, per circa trent’anni, la memoria di mio zio è stata calpestata da un altro vile attentato: quello del silenzio. Al pari di altre vittime della follia terroristica. Penso a Claudio Graziosi, Ciro Capobianco, Antonio Santoro (prima vittima di Cesare Battisti) e molti altri servitori dello Stato che, come mio zio, sono morti due volte: prima caduti sotto i colpi di una rivoltella; poi caduti nell’oblio. Per fortuna a restituire loro la giusta memoria ci ha pensato nel 2010 Alessandro Placidi, l’autore di Divise forate. Un libro che mi onorerò di regalarLe, se riterrà opportuno concedermi udienza.
Una corretta rielaborazione storica condivisa di quello che è accaduto è fondamentale per noi e per le generazioni future considerato il clima che si sta vivendo ancora oggi: sarebbe auspicabile costituire una Commissione per la riconciliazione nazionale. Per troppo tempo s’è raccontata una storia distorta, sbagliata. Basti citare quel dossier sul ’77, pubblicato nel 1997 dal Manifesto, in cui l’omicidio di mio zio è stato sbianchettato, ignorato. Per anni si è continuato ad avere un atteggiamento di quasi maggior riguardo per i cosiddetti «ex» terroristi piuttosto che alle loro vittime. Ho gioito quando il Parlamento, soltanto nel 2007, ha istituito per legge la «giornata della memoria delle vittime del terrorismo». Un ricordo che, tuttavia, credo debba essere onorato diversamente da come accaduto nel 2009 e nel 2010. Nella mia recente intervista al Giornale non vi era intenzione di offenderLa ma soltanto lamentare il modo in cui sono avvenute le celebrazioni. Ho solo raccontato i fatti e con ciò non intendo recedere dalla mia posizione, che a torto o ragione ritengo legittima, consapevole di rappresentare il sentimento di una buona parte degli oltre 4mila vittime e familiari, nonché di tutti coloro che ci sono moralmente vicini.
Qualche settimana fa, assieme ad Alberto Torregiani, abbiamo creato un gruppo Facebook («manifestazione contro Lula e il suo no all’estradizione di Battisti») che ha rapidamente visto l’adesione di oltre 5mila iscritti: sono questi i cittadini che continuano a darci energia per rivendicare verità e giustizia. Ribadisco di aver condiviso le sue recenti parole sul caso Battisti («incapacità delle istituzioni di trasmettere un messaggio culturalmente forte su ciò che sono stati gli anni ’70 in Italia»). Ma le istituzioni non sono rappresentate anche dal Quirinale? Su questo punto mi sarei aspettato un chiarimento. Anche Lei converrà che alle belle parole occorra far seguire i fatti. Mi permetto, quindi, di segnalarLe una proposta della presidente della Regione Lazio, Renata Polverini: istituire a Roma il museo della memoria per le vittime del terrorismo.

Confido che si crei la giusta sinergia istituzionale per la realizzazione, pena dare la sensazione di voler continuare a nascondere pezzi di storia che non possono essere più dimenticati. Mai più.

*nipote del brigadiere Ciotta, vittima di Prima Linea

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