Marta Ottaviani
da Istanbul
Ormai è scontro aperto. Che ci sarebbero arrivati, qui in Turchia, lo sapevano tutti. Ma è avvenuto pagando un prezzo troppo alto. La morte di Mustav Yucel Ozbilgin, giudice del Danistay (il Consiglio di Stato Turco ndr), ucciso ad Ankara due giorni fa per mano di un avvocato fanatico, ha confermato che il Paese è spaccato in due.
La frattura più grossa ormai è quella fra il Presidente della Repubblica Sezer e il premier Erdogan, ossia fra l'establishment vicino agli ambienti militari, gli unici in grado di mantenere uno Stato definibile «laico», e un governo dorientamento filo-islamico che sembra sempre meno moderato. Ieri Sezer ha definito l'attentato al Consiglio di Stato, nel quale sono rimasti feriti altri quattro magistrati, «un attacco alla laicità dello Stato turco», aggiungendo che chi lo ha provocato dovrà ripensare alle sue azioni.
Il riferimento all'esecutivo di Erdogan è fin troppo evidente. Il premier e il ministro della Giustizia Cemil Çiçek avevano aspramente criticato la sentenza che Ozbilgin aveva emesso a metà febbraio, e per la quale è stato ucciso, che negava la promozione a un'insegnante di una scuola superiore perché utilizzava il türban (il velo islamico turco, che indossa anche la moglie del premier) appena fuori dall'istituto, dando così un cattivo esempio alle studentesse.
E Sezer non è l'unico ad attaccare. Il Consiglio di Stato non ha ricevuto Erdogan che era andato a portare le condoglianze. Lo ha incontrato solo la sua nuova presidente, Sumru Cortoglu, eletta appena tre settimane fa, e che subito dopo ha detto: «Alcune dichiarazioni irresponsabili hanno fomentato gli animi. Ma noi non ci fermeremo davanti a questi attacchi». È passato appena un mese da quando Sezer, in un discorso che aveva colto tutti di sorpresa, aveva dichiarato senza troppi mezzi termini che «la democrazia turca è in pericolo». Un attacco a cui Erdogan aveva risposto, partecipando a una trasmissione televisiva, garantendo che il prossimo presidente della Repubblica sarebbe stato molto diverso.
Ma ieri il premier ha dovuto fare i conti con un fattore che forse non aveva considerato a sufficienza: c'è una parte di Turchia che nello Stato laico e nell'insegnamento di Atatürk ci crede ancora. Ad Ankara sono scesi in piazza a migliaia: magistrati e semplici cittadini, prima per dire un forte «no» al fanatismo e poi per partecipare al funerale del giudice Ozbilgin. In molti hanno urlato: «La Turchia è laica e lo resterà».
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