Politica

Presidente Ue e capo dell’Ulivo Così Prodi si fingeva imparziale

Il Professore accusa Casini ma da Bruxelles faceva l’opposizione al governo Berlusconi. E l’«Economist» chiedeva le dimissioni

Fabrizio de Feo

da Roma

La stoccata parte da Capri, inattesa, tagliente e leggera com’è nello stile del presidente della Camera. «Qualcuno sembra rimproverarmi una certa passione politica», attacca Pier Ferdinando Casini dal convegno dei giovani industriali. «Ma la mia passione è senz’altro inferiore a quella dell’allora presidente dell’Unione Europea, massimo garante dell’indipendenza delle istituzioni comunitarie, la cui passione non gli impedì di fare contemporaneamente il capo dell’opposizione nel suo Paese».
«L’allora presidente della Commissione», per chi non l’avesse intuito, è Romano Prodi, l’uomo che da giorni è impegnato a scolpire una dura offensiva politica contro il numero uno di Montecitorio, «colpevole» a suo dire di avere abbandonato l’abito super partes per indossare quello da regista della riforma elettorale. Un’accusa che sta facendo calare il gelo su un rapporto antico, scandito da un trentennio di frequentazioni bolognesi e romane. E che ha spinto Casini a riesumare una pagina recente e poco limpida della carriera del Professore.
Quello del presidente della Camera è il più classico dei «senti da che pulpito viene la predica», un affondo teso a ribaltare l’assunto della partigianeria e a rimandare la memoria di tutti ai macroscopici vizi del suo accusatore. Sì, perché il curriculum recente di Romano Prodi è costellato di episodi in cui il suo conflitto di interesse istituzional-politico - presidente della Commissione impegnato part time come capo dell’opposizione - venne alla luce in maniera fragorosa. Basta andare a rileggersi l’Economist per avere una fotografia di quanto accadeva un anno fa. «Se Prodi vuole occuparsi della politica italiana dovrebbe dimettersi da presidente della Commissione» scrive il settimanale inglese il 2 aprile 2004. «Prodi ha il dovere di rappresentare l’Europa intera, stando al di sopra delle sporche politiche nazionali». L’Economist ricorda che due commissari europei si dimisero per tornare a fare politica nei loro Paesi, e lo stesso aveva fatto il commissario Barnier, diventato ministro degli Esteri francese. «Ma il signor Prodi continua a rimanere aggrappato al suo ufficio di presidente e a godersi il prestigio che esso conferisce, mentre guida di fatto l’opposizione italiana. Prodi ha presieduto la riunione che ha portato alla fondazione della nuova alleanza elettorale e pronunciato il discorso di chiusura della manifestazione inaugurale. Questa settimana è andato oltre, entrando sul controverso terreno della politica estera italiana. Fino a che è presidente della Commissione, questo è inaccettabile». Alla richiesta di dimissioni, Prodi replica secco: «Partecipo e parteciperò a tutte le riunioni e i convegni; farò il mio dovere fino in fondo per portare a termine in modo ottimale la vita della Commissione». Il 4 aprile, dal palco del Congresso dello Sdi, Prodi detta un ulteriore postilla: «Rivendico il mio diritto e dovere a svolgere attività politica e a presentare le mie idee politiche sull’Europa ai miei concittadini. Chi deve custodire le regole lo farà sino in fondo e lo farà sino alla fine del suo mandato». Due giorni dopo la Commissione deve esaminare i conti dell’Italia, cioè del governo Berlusconi. Prodi scaccia deciso ogni sospetto: «Nei confronti dell’Italia useremo lo stesso rigore e la stessa equità usata con gli altri Paesi». Ma è credibile? Una settimana dopo, l’Economist torna all’attacco e dedica un nuovo articolo a Prodi dal titolo: «Mi dispiace, devo andare». La tesi illustrata dal pezzo è pesante: «Le defezioni di diversi commissari, e il fatto che Prodi è sempre più preso dal suo ruolo di leader de facto dell’opposizione italiana dimostrano che la Commissione si sta disintegrando».
D’altra parte la sequenza di apparizioni elettorali che Prodi si concede nel 2004, indossando il cappello da presidente dell’Unione e il vestito da leader dell’Unione, è impressionante. L’8 febbraio, ad esempio, il Professore presiede a Piazza Ss. Apostoli il Comitato promotore della lista unitaria per le Europee. Il 14 febbraio al Palalottomatica di Roma i cinquemila delegati del Nuovo Ulivo salutano Prodi battendo il tempo sulla canzone di Ligabue, «Una vita da mediano». Il 13 marzo interviene al Congresso di Rimini della Margherita e ospita a casa sua a Bologna i leader della lista unitaria. E il 27 marzo si esprime sulla presenza militare italiana in Irak.

Un uso discutibile della carica di presidente della Commissione che non gli impedisce, a distanza di pochi mesi, di mettere in pausa la memoria e indossare le vesti candide dell’indignato speciale.

Commenti