Ieri, dopo il terremoto in Emilia e a Verona, si è diffusa sul web la notizia che a mezzogiorno ci sarebbe stata un’altra scossa, molto più potente. L’allarme si è propagato in un attimo, creando panico, anche perché la notizia veniva attribuita alla Protezione civile: la quale è poi stata in grado di rivelare che la bufala era partita dal cellulare di un privato cittadino, diventando subito una certezza per molti navigatori on line.
Scrivo mentre sono in viaggio da Pescara verso Roma, in quell’Abruzzo straziato dal terremoto del 2009. È buio, piove, fuori dall’auto si intravede solo il biancore della neve, ma nella memoria sono ben presenti le immagini di quei paesi distrutti, di quelle case crollate sui loro abitanti, dei pianti e dello sgomento di chi - all’improvviso e in pochi secondi - vede distrutta la propria vita, impotente a qualsiasi reazione. È per questo che sui terremoti non si può e non si deve scherzare, né tantomeno sciacallare: il ricordo più tremendo del terremoto dell’Aquila, dopo i lutti e il dolore, è la risata cinica e volgare di quell’imprenditore che pensava ai suoi guadagni, e lo diceva pure.
È comprensibile, invece, che si tenti con ogni mezzo di prevedere l’arrivo di nuovi terremoti. La scienza ci sta provando e se un giorno ci riuscirà sarà una festa. Nel frattempo si procede a tentoni, in un campo minato fra ricerca e approssimazione, fantasia e credulità, speranze e sospetto. Fra le tante polemiche che si sono susseguite dal 2009 (recentissima è la denuncia contro Bertolaso, «colpevole» di non avere voluto allarmare la popolazione), la più ricorrente riguarda Giampaolo Giuliani, il ricercatore che avrebbe previsto - inascoltato - il sisma. In realtà Giuliani aveva individuato un’area molto vasta, di per sé a rischio terremoto, e alla comunità scientifica i suoi studi sembrano inadeguati a prevedere il colpo di frusta della terra che sconquassa tutto. Altri studi scientifici, nei più evoluti laboratori del mondo, sono lontani, lontanissimi dall’arrivare a una conclusione attendibile. Eppure nonostante tutto questo, c’è chi gioca o - peggio - crede davvero che sia possibile leggere nel ventre della terra per anticiparne i sussulti.
Scrivo su, e grazie a, questo meraviglioso apparecchietto, grande e pesante come un quaderno, che fra poco mi permetterà di far arrivare l’articolo al giornale, mentre l’auto attraversa veloce gli Appennini, dentro le gallerie e sui viadotti. Sembra ieri che il fax pareva un prodigio della tecnologia, un grande passo avanti dell’umanità. E dunque amo i computer e internet, bazzico i social network e leggo volentieri anche le idee più stravaganti. Eppure. Eppure bisogna stare all’erta sui cambiamenti che una nuova tecnologia può portare nella vita privata e sociale. Leggevo proprio ieri un articolo su quanto la nostra memoria si stia indebolendo, visto che la affidiamo alle macchine: per esempio, non so più a memoria un numero di telefono, a parte il mio e - se uscissi senza cellulare e mi capitasse qualcosa - non saprei chiamare nessuno per chiedere aiuto. Non mi scandalizzo per questo, vuol dire che mi sforzerò di memorizzare qualche numero prezioso, in attesa che - ho letto in quel serissimo articolo - ci mettano in grado di memorizzare i dati del pc e del telefonino direttamente nella corteccia cerebrale. Mi fa più impressione, ho più paura, della potenza della rete nel diffondere credenze sbagliate, come l’onnipotenza e l’onniscienza.
Su Twitter c’è uno spot autopromozionale sulla possibilità del social network di prevedere i terremoti. Una coincidenza sgradevole, un gioco innocente, ma che è la spia di un fenomeno: la crescente volontà, o illusione, di poter controllare tutto, sapere tutto, prevedere e prevenire tutto, grazie al preziosissimo aggeggino con il quale sto scrivendo.
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