Privatizzare il settore tecnico per salvare l’ippica dal caos

Dalla forza politica che parrebbe candidata al prossimo governo è stata dichiarata la volontà per una riforma della legge che, nel 1999 ha mutato il quadro legislativo del settore ippico, ed i compiti e le attribuzioni dell'ente che lo governa: l'Unire (Unione Nazionale Incremento Razze Equine). Disponibilità senza remore, con il fine dichiarato di riportare alla centralità del settore, l'allevamento del cavallo e le sue componenti. Dall'altra parte politica, salvo un generoso intervento sul quotidiano ippico Trotto Sportsman, dell'ex vice commissario Unire Francesco Baldarelli, non mi pare ancora vi sia una presa di posizione a livello di impegno programmatico. Farei presente che sono coinvolte oltre cinquantamila famiglie che vivono di questo lavoro. Auspicabile anche una sola enunciazione di principio del tipo: riteniamo che il settore ippico quale patrimonio culturale e sociale del Paese debba essere salvaguardato e tutelato. Riterrei che un intervento di modifica legislativa per avere successo, debba essere fatto in un clima bipartisan nella condivisone della salvaguardia di una gloriosa storia millenaria come quella del cavallo. Ad uso e consumo degli «strateghi» che gestiscono la campagna elettorale in corso, dove parlare di ippica evidentemente è considerato: non politicamente corretto, traggo da una corrispondenza dalla Francia, una intervista su Le Monde del ministro della Difesa Hervé Morin, che dice: «Coloro che non hanno mai messo piede in un ippodromo, che non hanno mai visto da vicino lo sguardo di un proprietario vincitore, non possono capire da dove venga tanta gioia. Risale al primo giorno di luce, quando l'uomo incontrò colui che l'avrebbe reso grande, che l'avrebbe fatto correre in fretta e condotto lontano, che l'avrebbe reso civile: il cavallo». A scanso di equivoci, dato il fermento intorno alla necessità di una riforma, della quale molti oggi parlano e qualche volta straparlano, vorrei chiarire che gran parte della riforma attuata nel 1999 è stata fatta in maniera egregia. La legge 99/449, contiene modifiche significative in considerazione del mutato quadro politico legislativo che trasferiva molte competenze alle regioni. La legge si è dovuta adeguare alla nuova realtà cercando di contemperare due esigenze contrapposte e non facilmente conciliabili e da questo punto di vista a me pare sia stato fatto un ottimo lavoro. La parte non condivisibile riguarda cose non marginali, tra cui la conformazione del consiglio, con la totale esclusione di qualsiasi apporto categoriale. L'incompatibilità a ricoprire qualsiasi carica da parte di rappresentanti delle associazioni di categoria, quali gli allevatori, impropriamente posti sullo stesso piano delle incompatibilità nei confronti di portatori di interessi contrapposti quali società di corse, assuntori di scommesse e quant'altro. Il vero guaio si è determinato con l'incorporazione degli enti tecnici, ma della sola parte burocratico/amministrativa, con il conseguente venire meno di un patrimonio tecnico di apporto reale, rappresentato dai consigli degli enti soppressi, costituito dagli associati, portatori di una consolidata conoscenza tecnica indispensabile per il buon funzionamento dell'Unire.

Come si dice: è stato gettato il bambino assieme all'acqua sporca. Su questo versante ritengo, si dovrà ricercare una soluzione, anche con una sorta di mini privatizzazione della branca tecnica delegata alle associazioni di categoria.

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