Privilegi di piombo

Sono da sempre tra coloro che ai governi chiedono fatti e non parole. Perciò non ho nulla da ridire sul dinamismo dell’esecutivo berlusconiano, cui qualcuno vorrebbe attribuire le caratteristiche d’una deriva autoritaria (ma Pietro Ingrao, vecchio saggio o rinsavito, ha esortato gli allarmisti a darsi una calmata). Non è che tutti i provvedimenti in atto o in pectore mi sembrino ineccepibili: ma chi non fa non falla, recita il vecchio adagio. Smentito peraltro da Prodi e dai suoi, che riuscirono egregiamente nell’intento di fare nulla e fallare molto.
Buon lavoro, dunque, ai ministri, viceministri e sottosegretari di fresca nomina che annunciano cambiamenti o addirittura piccole rivoluzioni nell’ambito istituzionale di loro competenza. E tuttavia, non per scoraggiarli ma per indurli a meditare, consiglio loro la lettura di qualche passaggio d’un nuovo libro di Raffaele Costa (Politica e giustizia ai tempi delle Br, editore Mondadori). Si tratta d’un diario del breve periodo, (meno di un anno tra il 1979 e il 1980), durante il quale il liberale Costa fu sottosegretario alla Giustizia in un governo Cossiga. Era un tempo d’emergenza, l’assassinio di Aldo Moro proiettava ancora la sua ombra cupa sull’Italia e l’incubo del terrorismo durava.
Ma a me preme sottolineare una vicenda senza dubbio marginale, ma molto significativa, raccontata in queste pagine. Non appena insediato al ministero Raffaele Costa, da decenni alfiere instancabile della lotta allo spreco pubblico e fustigatore dei dilapidatori di Stato, si impegnò in un braccio di ferro con i burocrati. «Giovedì 27 settembre 1979. Da tre settimane cerco di liberarmi di alcuni autisti affidati al mio ufficio, sei in tutto, ritenendo che tre siano più che sufficienti anche per i diversi turni. Non c’è nulla da fare. I capi del personale prendono nota ma non possono provvedere, gli interessati mi fanno continuamente pressione affinché receda dal mio atteggiamento che a loro appare incredibile. E tutti insieme ripetono: “Tanto non sarà lei a far risparmiare l’amministrazione”, “Tanto se non stanno con lei se li prende in più un altro sottosegretario”». Ma Costa duro, a insistere nella richiesta di snellimento.
Sapete com’è finita? «Sabato, 15 dicembre 1979. Avrei voluto ridurre a tre il numero degli autisti (che devono aver cura di me, del mio segretario, del capo della segreteria) ma tutto è stato inutile.

Sono stato sconfitto dalle legioni ministeriali, che mi hanno frapposto tali e tante difficoltà da costringermi alla resa». Roba degli anni di piombo. Gli assassini delle P38 sono stati debellati. Ma le legioni ministeriali? La domanda è pertinente. E inquietante.

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