Simone Di Meo
Nemmeno con il boss di Casapesenna sepolto vivo nel carcere di massima sicurezza di Novara si placa la guerra strisciante fra procura e polizia.
Troppo forte il «botto» dellex capo della Mobile, Vittorio Pisani, che nella nuova veste di dirigente dello Sco, ammanetta don Michele Zagaria a 20 chilometri da Napoli ma che rischia a sua volta larresto se mette piede nella provincia partenopea per via di uninchiesta nei suoi confronti che ha portato allincredibile emissione di un divieto di dimora. Troppo stridente il contrasto tra una magistratura che prima manda al confino uno dei migliori «sbirri» dItalia e poi gli dà carta bianca per mettere fine alla latitanza del boss dei boss, infine rabbuiandosi quando il capo della polizia Antonio Manganelli, in unintervista a Il Mattino, dice che Pisani «ha svolto un ruolo importante, fondamentale, per la cattura, sul fronte dellintelligence» e che «i magistrati sapevano cosa stesse facendo».
Un'uscita che non è piaciuta al procuratore aggiunto che guida il pool anticasalesi, Federico Cafiero de Raho, che ieri ha preso carta e penna e demolito, con una lettera al quotidiano, il contributo di Pisani allindagine «enfatizzato» dai media e che, a suo dire, certamente non è «superiore» a quello dei pm e dei poliziotti di Napoli e Caserta. Giudizi e valutazioni che il bravo magistrato si poteva risparmiare per non alimentare le voci insistenti di una frattura che si trascina da anni (dai tempi del G7) tra forze dellordine e toghe. Come se non fossero stati gli stessi agenti a tributare spontaneamente a Pisani unovazione da brividi, in Questura, ripresa da tutti i telegiornali d'Italia. Come se non fosse stato Pisani, «massacrato» per aver detto che Saviano poteva girare senza scorta perché non correva alcun pericolo, a scendere per primo sotto terra e a trattare la resa del boss, rischiando la pelle come dimostra il video esclusivo sul sito web del Giornale.
Sembra quasi che, col padrino in galera, sia partita la gara a chi è più veloce a mettersi sotto la luce dei riflettori e a liquidare, quasi con fastidio, lingombrante presenza dello sbirro a Casapesenna, già mal sopportato per gli applausi ricevuti in occasione della cattura dellaltro capo dei casalesi, Iovine. Il solo, Pisani, che è riuscito ad anticipare le mosse della «volpe» e ad annullarne i mille trucchi imparati in sedici anni di latitanza. Cominciando con l immergere in un bicchiere dacqua le cicche di sigaretta per cancellare le tracce di Dna. Obbligare il suo ospite, Vincenzo Inquieto, a vestire una tuta da lavoro anche se disoccupato. E mai pronunciare il suo nome invano.
In Sicilia, per riferirsi a Bernardo Provenzano, gli affiliati lo definivano «Iddu». A Casapesenna, don Michele era «Isso». Lui. Per prenderlo sono state scombussolate la vita di Pisani e di altri 11 «mastini» della Mobile di Napoli. Niente più orari, niente più affetti per Cristina, Mauro, Gianluca, Francesco, Oscar, Peppe, Ciro, Arturo, Leonardo e Giovanni, guidati dal dirigente Andrea Curtale e dal capo della Omicidi, Pietro Morelli. Hanno stretto il cerchio attorno alla «volpe» faticando alla vecchia maniera: niente confidenti, nessun pentito di quelli che oggi infangano Pisani. Pedinamenti, incroci di notizire, confidenti, intercettazioni. Loro piazzavano cimici e microtelecamere e il controspionaggio del boss le trovava servendosi di una sofisticatissima tecnologia che individua i campi wireless (quattro apparecchi sono stati scoperti nel bunker) segnalando la presenza delle «orecchie» e degli «occhi elettronici». Alla fine, però, hanno vinto i buoni. E quando si è trovato circondato, nella tana, il padrino ha avuto pure il coraggio di scherzare, ordinando al suo vivandiere, Vincenzo Inquieto, di prendere lui la borsa rosa perché di un colore non consono al suo rango mafioso.
Nel carcere di Secondigliano lultima frase che don Michè ha
pronunciato è una facile profezia: «Questo è lultimo cancello che si chiude dietro le mie spalle».
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