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Prodi incarta Margherita e Ds nel «listone»

Laura Cesaretti

da Roma

Avevano concesso a Romano Prodi le primarie per evitare la lista unitaria, e il giorno dopo le primarie Fassino e soprattutto Rutelli si ritrovano a dover dare via libera a quello stesso listone. E sempre per la stessa ragione: scongiurare il pericolo di una lista Prodi che i parisiani continuano a volere intensamente e che però salasserebbe elettoralmente i principali partiti.
Listone dunque: alle politiche 2006 si andrà insieme sotto le insegne dell’Ulivo per la Camera, puntando a superare «il 30 per cento dei consensi». Quercia e Dl, ma anche i Repubblicani europei della Sbarbati, Di Pietro e con ogni probabilità pure Mastella, che forte del suo potere contrattuale per il Senato, dove può mettere a rischio l’Unione, ha già chiesto a Fassino 20 deputati per farsi un proprio gruppo. «Sono troppi: se mai te li prestiamo noi i deputati per fare il gruppo», ha obiettato il segretario ds. Ma Clemente tiene duro. Al Senato invece la storia è diversa: a causa degli inghippi della nuova legge elettorale, i dirigenti dell’Unione hanno realizzato negli ultimi giorni che lì il listone sarebbe letale, e che più simboli ci sono più si ha la possibilità di far scattare i premi di maggioranza. Dunque, spiegano al Botteghino, «a Palazzo Madama si studierà regione per regione cosa conviene». Ieri dall’esecutivo della Margherita e dalla segreteria diessina è arrivato il via libera, e Prodi ha incassato, usando come Ratzinger il plurale maiestatis: «Esprimiamo soddisfazione perché si sta andando nella direzione giusta. Ci auguriamo che ora il lavoro proceda speditamente».
Rutelli, che all’indomani del trionfo prodiano alle primarie ha compreso che lo sbocco ulivista era inevitabile, ha tentato di giocare d’anticipo e ieri si è presentato all’esecutivo dl rilanciando la prospettiva del partito democratico e aprendo al listone. Anche per bloccare sul nascere l’insorgenza dei prodiani: Parisi lunedì aveva raccolto decine di firme su un documento para-scissionista, chiedendo l’immediato «superamento» della Margherita. L’obiettivo dei pasdaran era e resta quello di dar vita a una «lista del premier», per un concreto ragionamento: i sondaggi le attribuiscono un 6/8% di voti, che vorrebbe dire qualche decina di eletti, con la sicurezza per tutti gli amici del Professore di tornare in Parlamento, senza doversi affidare al buon cuore di Rutelli e Fassino. Ma Prodi ha promesso che li fermerà. Anche se qualcuno ipotizza che il «listino» possa rispuntare al Senato, per assicurare uno scranno ai prodiani appiedati dalla spartizione Ds-Margherita.
«La nuova legge elettorale e la straordinaria partecipazione alle primarie ci chiama a tirare precise valutazioni e conseguenze politiche nel segno dell'unità», ha detto Rutelli ai suoi. «È una svoltona: do atto a Francesco di aver raccolto la forte spinta innovativa che arriva dalle primarie, e di aver dato un segnale di discontinuità», si è subito complimentato Castagnetti, che in questi giorni ha giocato il ruolo di mediatore tra gli estremisti parisiani e la maggioranza del partito. In realtà il primo a caldeggiare (in tandem con D’Alema) il listone per Montecitorio era stato Franco Marini, convinto che con la nuova legge che ha fatto sparire i collegi alla Margherita convenga trattare i posti coi ds nelle liste bloccate. Trattativa che sarà lunga e complessa, e partirà dalla «media ponderata» dei risultati delle ultime tornate elettorali, a cominciare dalle politiche 2001.

Prodi però dovrà rinunciare ad avere un gruppo unico ulivista nel prossimo Parlamento: «Non se ne parla neppure: un solo gruppo vuol dire un solo finanziamento, una sola presidenza, servizi accentrati... Al massimo si farà una federazione, restando distinti», spiegano in casa Ds. E i Dl sono perfettamente d’accordo.

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