Prodi non si rassegna: lascio una bella eredità

Il premier cerca di nascondere l’amarezza nel summit a Londra con i leader europei

Prodi non si rassegna: lascio una bella eredità

nostro inviato a Londra
Non doveva esserci, Romano Prodi. Alla fine, invece ci è riuscito a prender parte al summit (forse per l’ultima volta, se Napolitano oggi farà il nome di un successore). Ma è come non ci fosse stato, azzoppato com’è ormai dopo il voto a palazzo Madama. Forse è anche per questo, per l’amarezza di esserci ma di contare come un due di coppe con la briscola a denari, che il professore è giunto ieri a Downing Street e poi al Foreign Office per il quadrangolare con Brown, Merkel, Sarkozy e la supervisione di Barroso, con un sorriso mesto e non senza esimersi dal far colare gocce di veleno in direzione di Roma.
«Mi sento benissimo e lascio una bella eredità» dice ai cronisti al seguito sul volo di Stato che lo porta nella capitale britannica; facendo capire che i tagli alle tasse e la lotta all’evasione che lui ha sviluppato durante il suo governo, possono essere un tesoretto da spendere bene in campagna elettorale per chi gli succederà nella guida del centrosinistra. Ma qui ci tiene ad aggiungere che lui, due volte ha vinto contro Berlusconi: nel ’96 e nel 2006. Gli altri? Chissà. Ci provino a ripetere il suo exploit, fa capire. Consigli per Veltroni, allora? Ma il Professore non ha voglia di darne: «L’orgoglio non ha bisogno di parole. Lo si legge negli occhi...».
E lui ne ha ancora tanto da spandere tutto intorno, probabilmente anche perché sa perfettamente di esser giunto all’ultimo atto. Dopo un certo digiuno, fa notare ancora con evidente malizia e con riferimento al summit londinese, «siamo stati riammessi a riunioni di questo tipo per confrontarci su temi importanti». Peccato mancasse proprio l’italiano nelle traduzioni a fine vertice. E peccato si sia scordato quell’irritato «non ho notizia di cosa sia e a che serva!» pronunciato proprio da lui a metà ottobre a Lisbona, dopo il varo della Costituzione, quando si sparse la voce che Regno Unito, Germania e Francia avrebbero riunito un direttorio proprio per discutere dei problemi finanziari dopo il caos bancario Usa. L’aveva presa male, allora, il premier. Poi grazie all’insistenza della Merkel era stato rimesso in gioco. Ma il gongolìo è stato di breve durata: a togliere il sorriso al professore ci ha pensato la famiglia Mastella e qualche altro. Già pensava di poter sfruttare il summit come un nuovo segnale del successo governativo; si ritrova invece a recitare il ruolo di chi si limita a salutare il resto della compagnia con scarsissime possibilità di poterla reincontrare se non in privato.
Londra pare una costante nella sua vita: ci si perfezionò dopo la Cattolica, facendosi conoscere negli ambienti finanziari e bancari della City; vi ricevette l’investitura di Tony Blair per la presidenza Ue (il premier laburista se ne pentì più tardi); ora prende congedo, avendo al fianco un Gordon Brown che non l’ha mai amato, anche per via dei contrasti continui dell’ex cancelliere dello scacchiere con gli eurorocrati brussellesi, e che preferisce i vertici ristretti all’Europa. Prodi invece di Ue si riempiva la bocca, con un pizzico di fiele per gli euroscettici inglesi.

Ma ormai cala il sipario e così è inutile interrogarsi sul nuovo voltafaccia di un professore che esclude problemi bancari in Italia - non sarà che Bazoli e Profumo sono suoi intimi? - e che fa orecchie da mercante alle proteste che montano da Slovenia, Belgio e Spagna per l’esclusione dal vertice.

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