Il Professore si ritira: sollievo bipartisan

Caro Granzotto è davvero una bella notizia quella sparata in prima pagina ieri e cioè che Prodi si ritira dalla politica anche se mi ha sempre dato l’impressione di non esserci mai stato, nella politica. In ogni modo lei crede che ci sia qualcuno, in Italia o all’estero, che lo rimpiangerà?



Parrebbe di no, caro Valentini. Eppure esce di scena l’uomo che infiammò i cuori progressisti, l’uomo della Fabbrica del Programma (270 pagine), l’uomo del «Tir in tour», del giro d’Italia in camion (giallo), l’uomo del plebiscito alle primarie dell’ottobre 2005, che poi furono le prime primarie ruspanti, fatte in casa, con 4 milioni (o 40? Ora non ricordo) di probi cittadini che si avventarono sui banchetti e sui gazebo per incoronare Romano Prodi da Scandiano (Reggio Emilia) Cagudep, Candidato Alla Guida Del Paese. E lui, raggiante, anticipando alla grande, alla grandissima Obama e Veltroni, a dire: «Grazie, tutti insieme ce la possiamo fare». Alé. Se ne va dunque un mito, una icona, un pezzo da novanta dell’anima progressista, il padre fondatore dell’Ulivo - mirabilissima formula politica poi esportata nel mondo intero - e madre levatrice del Partito democratico che egli fortissimamente volle. E nessuno, non uno che sia uno, si sente orfano di quel gigante, di quel Maciste del pensiero politico. Anzi, se mai la sinistra qualcosa prova è un senso di sollievo. Per ridurlo in parole, un: «Ah! Finalmente s’è tolto di torno. Era ora». E siccome l’uomo, un rancoroso che vede traditori e venduti anche nei sottoscala del loft, figuriamoci al piano nobile, ha fatto terra bruciata, manco gli offrono un posto in quel cimitero degli elefanti dove solitamente si dislocano le «riserve della Repubblica».
Insomma, il congedo di Romano Prodi è festeggiato più a sinistra che a destra. Naturalmente i compagni fanno baldoria simulando (salvo D’Alema, uso ad andare per le spicce) di rendergli l’onore delle armi. Doveva leggere, caro Valentini, il magistrale coccodrillo a firma di Gianfranco Pasquino apparso sull’Unità col titolo, che già dice tutto, «La lezione di un galantuomo». Vi si legge che no, Prodi «non è un imbarazzante nonno» che la sinistra ha messo in soffitta. Macché. Non è neppure «un disoccupato, un nonno per tutte le stagioni». E che cos’è allora Prodi? Il professor Pasquino se la cava così: «Quando sono in coda al supermercato, sento spesso dire che Romano Prodi è una brava persona». Ecco cos’è, un brav’om. Che come dicono da queste parti «a s’ cunòss», si conosce, si apprezza, «quand ai è pi nen», quando non c’è più. «Un giorno - maramaldeggia Pasquino - dovremmo, credo, interrogarci su quello che non ha funzionato, nei governi di Prodi». Il quale, da parte sua, dovrebbe chiedersi «se non sarebbe stato possibile tentare soluzioni coraggiose». L’Unità non gliene perdona nemmeno una: anche fellone, il brav’om.

Che in conclusione e smentendo le iniziali affettuose parole Pasquino vede destinato ad essere solo «un nonno premuroso» e, nei ritagli di tempo, ad esprimere «le sue capacità» in veste di operatore internazionale. Missione, come quella di Fassino in Cambogia, dove danni non ne può fare perché niente deve fare, se non difendersi dalle zanzare.

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