Profumo, il banchiere dimezzato dalla crisi

Alessandro Profumo non è riuscito a farsi approvare dal suo consiglio di amministrazione la riorganizzazione della banca che aveva già studiato e deciso nei dettagli. Il numero uno di Unicredit ha dovuto rimandare di un mese il suo progetto. Gli azionisti erano d’accordo e a conoscenza del piano, ma si sono scontrati, banalmente, sulle poltrone. Il principio è che l’edificio disegnato dall’architetto Profumo va bene, ma gli inquilini li vogliono decidere gli azionisti.
La vicenda è però più complessa e generale. Qual è il modello di comando nelle banche italiane. Chi decide e come. Che peso ha la politica, attraverso le Fondazioni azioniste di riferimento delle due principali banche italiane.
Unicredit aveva (il passato è d’obbligo) costruito la sua diversità proprio intorno alla figura di Profumo: un manager poco avvezzo ai salotti del vecchio capitalismo italiano. Restio ai «compromessi politici» (pur dotato di una personale passionaccia democratica), forte della sua espansione internazionale. Il presidente della banca di piazza Cordusio, è un signore tedesco, per di più nominato, dalla stessa, all’interno del supersalotto di Mediobanca. Questo era lo stile di Profumo: arrogante per alcuni, plasmato dal mercato e dalle sue richieste per altri. Il modello di banca è costruito intorno al leader e la nuova riorganizzazione va nella medesima direzione. Basta fare due passi e affacciarsi dai concorrenti di Intesa Sanpaolo e la musica cambia completamente. Il sistema di governance della banca è stato pensato duale: proprio per creare la stanza di compensazione per tutte le anime da cui è nato il gruppo. Il presidente dello stesso si chiama Giovanni Bazoli, ciò di più lontano si possa immaginare (per gli affari italiani) del tedesco di Unicredit Dieter Rampl. Un banchiere che mette il becco, con il garbo e l’astuzia che gli sono propri, in tutte le più importanti vicende italiane. Solo poche settimane fa l’amministratore delegato di Intesa, Corrado Passera, ha dovuto inserire come suo capo del retail un signore che nella vita aveva fatto tutt’altro, solo per assecondare la tenuta degli equilibri dei suoi azionisti.
Ecco quest’ultima, forse, è l’unica caratteristica che Passera e Profumo hanno in comune: il loro capitale è in mano a Fondazioni, sostanzialmente pubbliche, che rappresentano gli interessi forti dei territori. E in questo loro tratto comune si debbono leggere gli sviluppi del sistema bancario italiano.
Profumo è sempre riuscito a tenere a bada (a prevaricare, dicono alcuni esponenti dei territori oggi) i suoi azionisti. Passera e Bazoli hanno invece sempre adottato una tecnica inclusiva, concertativa. Il meccanismo che ha garantito una certa tranquillità a Profumo si è però rotto con la crisi finanziaria. Il numero uno di Unicredit era persino riuscito a far digerire le diluizioni degli azionisti a seguito delle acquisizioni internazionali e degli obblighi di riduzione di quota da parte delle normative (con qualche scatolina di compensazione come Perseo) senza grandi traumi. Ma oggi le sue frecce hanno la punta meno affilata. Ha dovuto chiedere la bellezza di sette miliardi di euro ai suoi azionisti e per di più in modo piuttosto irrituale. In cambio non ha potuto dare un becco di un dividendo. E proprio oggi svelerà un bilancio positivo, ma con pochi cotillon per i territori. D’altronde lo stesso Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, pretende che le banche tengano fieno in cascina e distribuiscano solo una parte dei propri utili agli azionisti. Ecco. In questo quadro, Profumo pensa ad una riorganizzazione della banca. Che nell’interpretazione più soft rompe gli abiti mentali degli azionisti storici a cui era stato spiegato solo pochi anni fa che il modello migliore era il divisionale. E nell’interpretazione più maliziosa: allontana sempre di più gli azionisti e i loro rappresentanti dai centri decisionali.
Un brutto pasticcio. La diplomazia, un po’ come il coraggio, «uno non se lo può dare».

E il modello della banca di mercato, alternativa a quella di sistema (modello Passera-Intesa, per intendersi) ha la necessità, l’obbligo di far girare un bel po’ di quattrini per i propri azionisti, altrimenti la sua autonomia rischia di saltare. È la condizione in cui oggi si trova Profumo.

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