«Proibirei a me stesso di vedere le partite dei miei ragazzi»

Attore, comico, doppiatore, conduttore televisivo, ma Pino Insegno è soprattutto padre di due bellissimi ragazzini. Matteo ha dodici anni ed è patito di calcio e Francesco, che ne ha solo sei, si sta appassionando anche lui. Tra il 2000 e il 2002 Pino Insegno ricorda con orgoglio l’avventura da presidente della Società calcistica femminile del Lazio, vincendo diversi trofei e riuscendo a riempire lo stadio Flaminio.
Con un padre laziale doc come lei, non è difficile intuire la squadra del cuore dei suoi figli.
«Ho lasciato loro la libera scelta, ma con una condizione molto chiara: se dovete cambiare squadra non scegliete la Roma. Ho avuto un po’ paura ma so che ora sono due biancoazzurri convinti e orgogliosi».
I suoi ragazzi giocano a calcio?
«Eccome. Il più grande per fortuna suona anche la chitarra, ma non potrebbe stare senza il calcio: tutte le domeniche ha le partite con gli amici nei vari campetti intorno a Roma. E Francesco, vedendo l’esempio del maggiore, è sulla buona strada».
Cosa pensa dei genitori ultrà?
«Devo dirle che in effetti proibirei anche a me stesso di partecipare alle partite di mio figlio».
Addirittura?
«Ma sì, sulle tribunette ho assistito più volte a certe litigate fra genitori di giocatori avversari.Pensi che una volta sono stato anche coinvolto in una specie di rissa fino ad essere pesantemente insultato senza alcun motivo».
Frustrazione degli adulti?
«Per me il calcio è una metafora di vita e resterebbe tale se non venisse macchiato dalla follia di certi genitori che quando vedono giocare i propri figli si sentono anche allenatori e arbitri. È il loro modo per sfogarsi evidentemente».
E questo atteggiamento, secondo lei, si ripercuote in qualche modo sui baby-calciatori?
«Ma scherza, certo che sì. Come ho detto il calcio è una metafora di vita, perché insegna la struttura gerarchica dei ruoli, a subire sconfitte, a rispettare le persone. Valori che sono agli antipodi rispetto all’arroganza dei genitori sempre pronti a difendere i figli anche quando sbagliano».
Ma c’è una soluzione?
«Secondo me bisognerebbe proibire ai genitori di assistere agli allenamenti e alle partite dei propri figli. È una provocazione la mia, ma ritengo che si dovrebbe riflettere a lungo su questo tema».


Come vorrebbero fare in Australia per le partite giovanili di rugby.
«Italiani o stranieri i genitori non devono mai essere violenti agli occhi dei propri figli e il calcio, che è uno sport così entusiasmante, deve rimanere una scuola di vita».

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