La proposta Contro l’inefficienza della giustizia è sufficiente una mini riforma in quattro mosse

Appena quattro brevi ma succose proposte per la riforma dell’amministrazione giudiziaria.
La prima. Inibire in modo assoluto la formazione e l’iscrizione di singoli magistrati o di gruppi di magistrati a correnti, correntine, correntuccie di carattere politico o parapolitico, quali le attuali. Non si tratta - come alcuni vorrebbero far credere - di impedire la libera espressione del pensiero alla quale anche i magistrati (come ogni cittadino) hanno pieno diritto: si tratta soltanto di evitare che la preliminare e spesso appassionata partecipazione di alcuni o molti di loro ad una corrente politica ideologicamente segnata finisca col far perdere credibilità e legittimazione all’intera magistratura.
Liberi, dunque, liberissimi di iscriversi ad un’associazione culturale di ogni tipo e tendenza, di scrivere libri e articoli, di impegnarsi a teatro o nella critica cinematografica, ma non liberi di fare politica attraverso le correnti che, azionando con precisione chirurgica il Consiglio Superiore della Magistratura, fanno sì che il 5% dei magistrati italiani possa condizionare tutti gli altri.
Anche perché l’iscrizione a correnti nettamente segnate ideologicamente preannuncia in anticipo l’orientamento che quel magistrato seguirà nel suo operato: cosa che non solo è sconveniente, ma è anche da prevedere espressamente come motivo di ricusazione del giudice.
Costituire, formare o partecipare a correnti deve dunque esser considerato, per un verso, un preciso addebito di natura disciplinare, in quanto attenta gravemente all’imparzialità del giudice che non solo deve essere imparziale nella sua coscienza, ma come tale deve anche apparire all’esterno. Per altro verso, se ciò accadesse metterebbe in mano alla parte l’arma della ricusazione del giudice: e come dar torto a chi, magari attivista politico di un partito, tema di esser giudicato da un giudice che è, per sua stessa ammissione, simpatizzante di un partito di ispirazione opposta?
Seconda proposta. Per garantire il buon funzionamento dell’ufficio del giudice preliminare - oggi spesso un fallimento in quanto egli troppo spesso non opera di fatto alcun filtro rispetto alle richieste della Procura - occorre rispettare una proporzione minima fra numero di pubblici ministeri esistenti in una Procura e numero di Gip.
Non deve più succedere ciò che anni or sono accadde a Palermo, ove la sovrabbondanza di pubblici ministeri costringeva ogni Gip a un lavoro improbo e a volte impossibile: sicché ne fece le spese uno soltanto che, costretto a chiedere ad uno di quelli una sintesi di centinaia di migliaia di documenti (in quanto era impossibile leggerli tutti), finì incolpato di illecito disciplinare.
Uno dei passati governi nominò allo scopo una commissione presieduta da Giovanni Conso: si accertò così che la proporzione corretta è di tre pubblici ministero per ogni Gip. Si aprano dunque i cassetti del Ministero, si trovino le relazioni finali di Conso e si dia loro ascolto ove necessario: e necessario è in diversi uffici.
Terza proposta. Ogni Gip deve fuggire la tentazione di rinviare a giudizio su richiesta del pubblico ministero con leggerezza, quasi che a pensarci poi sul serio debbano essere i giudici del dibattimento.
Allo scopo, deve prevedersi un obbligo di motivazione preciso e dettagliato per il provvedimento di rinvio a giudizio, a nulla ostando il fatto che esso non sia di per sé impugnabile: in questo modo il Gip non potrà limitarsi a scaricare la patata bollente nelle mani dei colleghi, perché dovrà spiegare per filo e per segno perché non abbia invece deciso di archiviare.
Insomma, il Gip dovrà lavorare sia per archiviare che per rinviare a giudizio: non deve più accadere che le parti, gli avvocati o gli stessi giudici si chiedano sorpresi come mai una questione che non lo meritava per nulla sia invece finita a scomodare i giudici del dibattimento.
Quarta proposta. Separate la carriere di pubblici ministeri e giudici, anche i rispettivi organi di autogoverno debbono operare in modo totalmente separato. Non devono essere chiamati a comporlo uomini che abbiano un passato di attivismo politico, mentre va prevista una presenza di avvocati con un numero di anni minimo di professione (per esempio, quindici).
Come è noto, i migliori giudici dei giudici sono gli avvocati.

Come si vede, si tratta di proposte di semplice buon senso, per nulla punitive. Qui non si tratta di punire questo o quello: si tratta soltanto di rendere giustizia in modo equilibrato e legittimo. Molti oggi non vogliono però capirlo: e non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

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