La proposta Il Pd giri ai disoccupati il «tesoretto primarie»

Non è elegantissimo fare i conti in tasca al prossimo, ma quelle del Pd sono talmente piene, dopo le primarie, che qualche discussione supplementare diventa inevitabile. Si parla di almeno quattro milioni, più o meno otto miliardi del vecchio conio: come si usa dire adesso negli ambienti-bene, è tanta roba. Non siamo agli spiccioli raccolti con il sudore delle salsicciate estive, per finanziare fotocopiatrici e volantini della sezione locale. Questo è un capitale corposo. Un tesoretto. La domanda dunque appare legittima: adesso che ne fanno?
Già Francesco Forte ha spiegato come l’incasso vada regolarmente tassato. E va bene. Ma una volta sanata la pratica fiscale, si potrebbe aggiungere qualche proposta sulla destinazione. Non è un argomento da gossip: è una questione molto seria. Chiaro che domenica i due milioni di votanti hanno dato per scontato l’utilizzo del proprio versamento per i più giusti scopi interni, perché tutti ricordano un dogma storico: «La politica ha i suoi costi». Però attenzione: messa così, sembrerebbe allora che senza le primarie il Pd non starebbe in piedi. Che questi soldi raccolti siano cioè una voce strutturale del bilancio. Ma così non è. In realtà le primarie sono un avvenimento estemporaneo. Non ci si può fare affidamento, anche perché nessuno può neppure prevedere quanti vi prenderanno parte. Guai all’amministratore che contasse troppo su queste entrate. In linguaggio tecnico, l’incasso di domenica ha tutte le sembianze della «sopravvenienza attiva», orrore lessicale dei contabili per definire un’entrata imprevista, diciamo spannometricamente soldi piovuti dal cielo.
Allora, se così stanno le cose, e se la generosità dei militanti Pd si è rivelata tanto nobile, perché Bersani non decide di farne un uso ugualmente nobile? I due euro erano il bel gesto dell’anonimo elettore, i milioni del botteghino potrebbero diventare il bel gesto del neosegretario. Ci sono mille modi per fare un bel gesto, inutile stare qui a scrivere elenchi. Ma in questo caso ce n’è uno che sembrerebbe disegnato su misura per la nuova gestione del partito. Proprio Bersani, mezz’ora dopo la vittoria, ha indicato quale sarà la sua pietra miliare: il lavoro. Allora, se non suona troppo invadente: perché non cominciare con un segnale dall’enorme significato, morale e politico, proprio nei confronti di chi il lavoro non l’ha più? Perché, uscendo di metafora, non mettere subito mano al tesoretto delle primarie, destinandolo a disoccupati e cassintegrati di ultima generazione? Se non proprio tutto, almeno una buona parte. Se non a tutti, almeno a qualcuno. Ovviamente non è pensabile di risolvere il problema della quarta settimana in tutta Italia: si potrebbe studiare un gesto simbolico, altamente emblematico, andando a fare versamenti concreti in una realtà operaia particolarmente critica, la più flagellata dalla crisi. I luoghi e le persone che abbiano urgentissimo bisogno di un aiuto non mancano. Bersani lo sa bene: lo ricorda sempre a Tremonti. Ecco dunque che adesso il Pd ha un’occasione vera: quattro milioni di euro, o anche tre, o anche solo due, per rendere la crisi meno dura in casa di qualche lavoratore. Ci giurerei: i primi a esserne fieri e felici sarebbero proprio quelli che domenica hanno messo mano al portamonete.
Ce la farà il nuovo corso, che non a caso si richiama alla vecchia sinistra, meno cinefestival e più sindacato, meno terrazza e più fabbrica? Avrà voglia di lanciare questo segnale? La curiosità è tanta.

Vediamo che dicono. Solo una cosa: almeno non scartino l’idea bollandola subito di demagogia. Meglio non dimenticare l’antica epopea delle sezioni: ciò che adesso viene scartato come bieca demagogia, una volta era semplice solidarietà.

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