Il tam tam cresce ora dopo ora e preannuncia una nuova offensiva contro Silvio Berlusconi. Un copione già visto in altre occasioni. Partono i giornali amici delle procure politicamente schierate con articoli che introducono scenari loschi e sospetti. Ogni giorno spunta un nuovo tassello che infrange, senza l’indignata protesta dell’associazione nazionale magistrati o del Capo dello Stato, il segreto istruttorio. In un crescendo di veleni, allusioni e ipotesi suggestive, la morsa si stringe secondo copione. Ci siamo. A giorni scoppierà un nuovo presunto scandalo. Ve lo anticipiamo. Silvio Berlusconi è mafioso e responsabile delle stragi avvenute agli inizi degli anni Novanta. Non è uno scherzo. O meglio, è uno scherzo che i soliti noti stanno cercando di trasformare in una accusa giudiziar-politica.
Basta leggere in questigiorni la Repubblica di Giuseppe D’Avanzo e il Fatto di Marco Travaglio, i due portavoce ufficiali dei pm ammazza Silvio, spacciatori di fango, quelli che scambiano verbali per sentenze, assoluzioni per condanne, banditi e assassini per fonti attendibili e certe. Ieri è stato un fuoco di fila. Travaglio e soci stanno sparando ad alzo zero contro Renato Schifani guarda caso dopo che il presidente del Senato ha posto il famoso ultimatum alla maggioranza, «o si sta insieme a difendere il premier o si va a votare». Una colpa gravissima, un intralcio al progetto di isolare il Cavaliere dai suoi e di consegnarlo quindi alle patrie galere. Ed ecco allora una serie di articoli su una storia di quindici anni fa, quando Schifani, che di professione fa l’avvocato, difese dei signori siciliani per una causa su un palazzo. In seguito l’avvocato divenne presidente del Senato, i proprietari del palazzo mafiosi. Da quell’epoca non si sono più visti né sentiti, ma tanto basta per far dire ai Travagli che Schifani è certamente mafioso.
Lo sostengono loro e fanno sottoscrivere la condanna a illustri giuristi super partes: il regista Francis Ford Coppola, l’attrice Franca Rame, il comico Daniele Luttazzi, il regista Mario Monicelli, il filosofo Gianni Vattimo. Il tribunale del popolo fatto di nani e ballerine ha deciso che Schifani è mafioso. Non c’è una accusa, non una carta o una inchiesta. Ma uomini di spettacolo e comici sono certi. È così e basta. Questo però è soltanto l’antipasto.
Il piatto forte, che anticipa e introduce il nuovo attacco a Berlusconi è affidato, sempre sulla gazzetta di Travaglio, a Luigi De Magistris. Lui magistrato lo è stato fino a pochi giorni fa, sia pure occupasse da mesi una poltrona politica, quella di parlamentare europeo, guarda la coincidenza, per l’Italia dei Valori di Di Pietro. Si è dimesso dalla toga non per coerenza e rispetto della giustizia (altrimenti lo avrebbe fatto il giorno della candidatura) ma per evitare un procedimento disciplinare con accuse molto gravi e imbarazzanti rispetto alla sua condotta di pm (ovviamente di questo non c’è stata traccia significativa sulla stampa). In un lunghissimo articolo De Magistris racconta ieri come in base a segnali che arrivano da alcuni pentiti che ora dicono che forse potrebbero ricordare confidenze sentite quindici anni fa da non si sa bene chi, è certo che Berlusconi e soci sono dietro le stragi di mafia degli anni Novanta. Caspita, questo non è un comico o un regista, è un fresco ex magistrato che le cose le capisce, che distingue i teoremi dai fatti, la politica dalla giustizia. O no? No.
Ieri il Gip di Catanzaro ha depositato le motivazioni per cui ha deciso di buttare nel cesso la mega inchiesta che De Magistris fece contro mezza classe politica italiana, quella denominata Why Not che ipotizzava una cupola catto-pluto-massonica-giudaica che aveva preso il posto dello Stato. Il nostro magistrato eroe mandò avvisi di garanzia anche all’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, all’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, al capo di Cl Antonio Saladino. Milioni di euro spesi in indagini e intercettazioni, ore e ore di lavoro sottratte alla giustizia ordinaria, quella che si dovrebbe occupare dei reati veri a danno di cittadini in carne e ossa. Bene, il Gup ha archiviato tutto sostenendo che quello di De Magistris era solo «un teorema fondato su accuse generiche». Non è la prima volta che le indagini di De Magistris finiscono in niente. Ma lui, tenace, insiste a prospettare scenari accusatori assurdi, non più da un Palazzo di Giustizia ma dalle colonne dei giornali. Non si arrende neppure di fronte all’evidenza e al buon senso. Ma evidentemente ha informazioni di prima mano da ex colleghi che la pensano come lui.
Ad abbattere Berlusconi ci hanno provato con le escort e hanno fatto un buco nell’acqua sia giudiziario che politico.
Poi hanno brigato per impedire l’approvazione del Lodo Alfano e lasciare il premier in balia dei pm alla De Magistris. Ora, alla vigilia dell’approvazione della legge sui processi brevi, ci riprovano con la mafia. Per l’accusa di rapina a mano armata e sequestro di persona stanno studiando ma non sono ancora pronti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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