Un intero Paese delimitato dal nastro bianco e rosso, dove si viaggia a passo duomo su ununica corsia perché laltra è sventrata dalle ruspe. Ruspe che spesso, dopo aver aperto le voragini nellasfalto, spengono i motori. È lItalia dei cantieri infiniti, dei lavori iniziati, ma poi bloccati, delle grandi opere contestate ancor prima che il progetto sia finito, dei fondi stanziati che poi lievitano senza freno rendendo il costo finale di un lavoro anche dieci volte più alto di quanto preventivato. E gli italiani, sia al volante sia allinterno delle classifiche della competitività economica, restano in coda. Creare le infrastrutture costa. Non crearle, però, costa di più. 14,2 miliardi di euro: il prezzo dei ritardi nelle grandi opere accumulati nel triennio 2005-2007. Sono più di 4 miliardi allanno. Sono gli allarmanti conti ricavati dallapplicazione scientifica dellanalisi costi-benefici dellosservatorio «I costi del non fare», centro indipendente di ricerca presieduto da Andrea Gilardoni, direttore del master in «Public utilities» delluniversità Bocconi.
LItalia che viene fuori dalle cifre dello studio è lo stesso Paese che dopo trentanni non ha ancora unarteria stradale verso il Sud (la Salerno-Reggio Calabria questestate era costellata di nove «cantieri inamovibili» per 70 km di carreggiata unica), dove i termovalorizzatori vengono bocciati perché non abbastanza verdi (e intanto cè già chi ha annunciato a Genova la prossima emergenza rifiuti) e dove qualche migliaio di persone può bloccare la costruzione di infrastrutture strategiche a livello europeo. Proprio con i nostri partner (e concorrenti) europei il confronto è impressionante: la linea ad alta velocità Madrid-Saragozza-Barcellona, modernissima ferrovia di 622 chilometri, è stata costruita in nove anni, in anticipo sul programma. In Italia la Tav spa è nata nel 1991, ma le tratte Torino-Novara e Roma-Napoli, in tutto 289 chilometri, sono state completate nel 2006.
Perché? «Tutti i Paesi europei - ha commentato Gilardoni - sono sottoposti a controlli sulle Grandi opere. LItalia ha però una peculiarità negativa: la reiterazione. LIter non finisce mai, la pratica non arriva mai alla meta, in una specie di interminabile gioco delloca che costa al Paese una fortuna». E nellinsieme di carte necessarie per aprire un cantiere la Via - valutazione di impatto ambientale - si colloca in prima fila: per la sola terza corsia della tratta autostradale Barberino-Firenze, parte di quella mastodontica e famigerata grande opera che va sotto il nome di «variante di valico» sono stati necessari 1.383 giorni, prima che il ministro competente desse il via libera. Agli anni dattesa per una firma su unautorizzazione vanno sommati i ritardi per i ricorsi al Tar di comitati di cittadini, spuntati negli ultimi anni come funghi, pronti a opporsi - spesso con laiuto dei politici locali, lesti a cavalcare la relativa ondata di malcontento - alla costruzione di ferrovie, di parcheggi e di steccati. Sono 193, oggi, le grandi opere che devono fare i conti con cortei e sit-in: 193, cioè tanti, tantissimi. Troppi. Ogni volta uno stop, un ritardo, un disagio enorme e infinito.
Proteste, ritardi e carte bollate: 4 miliardi lanno per le ruspe ferme
Tra cortei, cavilli e progetti sbagliati cè un intero Paese che si ferma. Solo per il via libera ambientale ci vogliono oltre tre anni
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