In tempo di crisi i doppioni risultano ancora più superflui. E vanno eliminati. Per una questione di risparmio. Di scelte e politiche culturali. Anche di sobrietà. È vero, lItalia è il Paese dei campanili e noi quando possiamo sbagliamo per eccesso più che per difetto. E soprattutto è il Paese del cinema. Meglio: era. Ma con tutta la buona volontà, la Mostra di Venezia, con il suo contorno di motoscafi e Leoni doro, è più che sufficiente. Della sua replica romana a poche settimane di distanza si sente sempre meno il bisogno. In Francia, per esempio, dove vantano un rinomato festival che ha sede nella patinatissima cittadina di Cannes, nessuno si è mai sognato di proporne uno analogo a Parigi. I francesi non saranno mostri di simpatia, ma qualche volta ci azzeccano anche loro. Meglio concentrare le risorse su una manifestazione di grande prestigio anche allestero anziché disperderle su due o più kermesse.
La necessità di rivedere il calendario festivaliero nostrano diventa più stringente ora che la nuova finanziaria ha inaugurato la politica del rigore anche per gli enti locali. Chissà come faranno il sindaco di Roma Gianni Alemanno e la governatora del Lazio Renata Polverini a giustificare le spese per il sempre meno indispensabile Festival Internazionale del Film di Roma. Nata nel 2006 dal genio di Walter Veltroni, allepoca coadiuvato dallo zelo manageriale di Goffredo Bettini, poi capo della segreteria del candidato premier, la kermesse capitolina ha cominciato da subito a pestare i piedi alla primogenita Mostra Internazionale dArte cinematografica di Venezia partorita nel lontano 1932. Soprattutto la prossimità delle date - prima decade di settembre per il festival lagunare e seconda metà di ottobre per quello romano - ha immediatamente creato polemiche. Con i dirigenti delle due manifestazioni a disputarsi film più o meno dautore e soprattutto attori, attrici e attricette cui far calcare le rispettive passerelle sotto i flash dei fotografi per conquistare i titoli dei giornali. Chi consegnerà il premio alla carriera al cineasta più prestigioso? Dove sfilerà la madrina più sexy, la star più avvenente? Io schiero David Lynch... E io rispondo con Sean Connery... Io metto in mostra Monica Bellucci... E io sparo Catherine Deneuve... Io ho Penelope Cruz. E io Meryl Streep... La chiamano concorrenza: due festival sono meglio di uno; la rivalità potrà alimentare un circolo virtuoso... E via con il fair play. Annunciato e subito contraddetto alle prime schermaglie.
Proprio le raccolte dei quotidiani alla vigilia dellinaugurazione della Festa di Roma, così si chiamava Veltroni regnante, documentano liti, ultimatum e minacce. Per gradire: laltro sindaco dellepoca, pure lui campione della sinistra intelligente - sia detto senza ombra dironia - non usò giri di parole: «Soldi a Roma per il cinema? Metto mano alla pistola», sbottò Massimo Cacciari in versione Clint Eastwood. Il direttore della Mostra veneziana Marco Müller tuttora in carica, sottolineò invece che i film approdati alla manifestazione della capitale erano quelli che «né noi né Cannes avevamo voluto». Medusa, la più importante casa di produzione italiana, si schierò dalla parte di Roma. Poi anche nella capitale vinse il centrodestra, cambiarono nome e dirigenti della kermesse e si tentò una difficile coesistenza con Venezia, distinguendo gusti e preferenze: nella capitale soprattutto gli affari, il mercato e il glamour, in laguna larte e gli autori.
Ora, a crisi galoppante con conseguente e spietata necessità di tagliare, queste sfumature e questi chiaroscuri si stanno rivelando sofismi poco convincenti.
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