Quando Celentano demoliva il festival "vetrina per vip"

Nel 2004, scriveva al Corriere: "A Sanremo nessuno deve togliere spazio ai cantanti". Proprio come ha fatto lui...

Quando Celentano demoliva il festival  "vetrina per vip"

Il profeta della via Gluck ha perso la memoria. O forse sa benissimo quel­lochediceefamaspera­chesianoglial­tri ad avere dimenticato parole e pen­sieri di lui medesimo. Ha usato il festi­val dopo averlo insultato, ha ignorato i suoi colleghi, i cantanti, dopo averli compatiti.Basta sfogliare l’album del­l­e sue elucubrazioni per scoprire la ve­rità. È sempre lo stesso Adriano Celen­tano che modifica, molleggiandole, le proprie idee, secondo necessità. Vole­teunesempio? Addiritturapensato, il­lustrato e firmato da lui stesso? Il profeta scrive i testi di molte delle sue canzoni.

A volte ha bisogno del «gobbo» per rammentarsi le parole. Scrive anche lettere, a parenti e amici. Le invia a un giornale e questo le pub­blica. Nel qual caso il«gobbo»è assen­te e, allora, la memoria può combina­­re scherzi, non di carnevale. Il ventinove febbraio del duemila e quattro il Corriere della Sera mise in pagina una lettera, articolata e sofferta, del cantante milanese in rispo­sta allo sfogo di Tony Renis, direttore arti­stico del festival, in crisi per la rinuncia di molti ospiti e tradito proprio dal mol­leggiato. Renis così aveva detto: «Ho cre­duto e sperato tanto in Celentano, il mio amico di infanzia che è stato scoperto da me. E anche lui mi ha abbandonato... Credevo fosse un amico».

Il predicatore rimase colpito dalle parole del sodale e rispose, con lettera allo stesso giornale: « Caro Tony ho letto il tuo sfogo sul Corrie­re e quindi il tuo rammarico, comprensi­bile peraltro, di fronte alle ostilità con le quali ti sei dovuto scontrare per portare a termine l’impresa “Sanremo”. Mi di­spiace. E te lo dico davvero... L’idea che io ho del Festival è di tutt’altra natura.So­no convinto, e lo dico da sempre, che l’unica medicina per risollevare le sorti del Festival è distruggerlo definitiva­mente. Solo così può rinascere. Ora co­me ora, non è altro che una sfilata di per­sonaggi, più o meno di moda, dove l’attenzione suicantanti, che dovrebbero essere i veri protagonisti, si è ridotta a un fragile contorno...

Ho diser­tato il Festival da quando è crollato come Festival del­la canzone per la­sciare il posto a un qualcosa che non è più niente, se non una comune vetrina per mettersi in mostra. Poli­tici, attori, modelle, premi Nobel, non manca nes­suno e ognuno ha il suo business perso­nale, ma i cantanti? Ci sono? Come no, cantano anche!...

Certo non è un male farsi vedere, anche a me piace. Ma se va­do al Festival vado come cantante e quin­di per vincere. Perché questo era il Festi­val e per questo si vendevano i dischi. Ma per vincere ci vuole una gara... e io con chi vinco?». Adriano Celentano, alla fine, mosso e commosso dall’antica amicizia con Renis, si presentò a Sanremo, sabato sei marzo, senza pre­tendere un solo centesimo. Lo show fu coinvolgente, improvvisò e cantò, come lui solo può fare, un pezzo stori­co di Bill Ha­ley e Little Richard, Rip it up , baciò Simo­na Ventura e abbracciò Tony Renis, bal­lerini scatenati e ubriachi di gioia sul pal­co, andò via con la standing ovation del­l’Ariston. Accade, nella vita degli uomi­ni, di cambiare idea e prezzo. Otto anni dopo, lo stesso Celentano Adriano ha sottoscritto un’altra lettera, quella del contratto da settecentomila euro, con la Rai. Non lo ha fatto per amicizia.

Per cari­tà, in tutti i sensi, di esclamazione e di be­neficenza. Del resto Celentano deve ave­re intuito che il Festival è davvero cam­biato, non è più una comune vetrina per mettersi in mostra, non ci sono più mo­delle e affini che hanno il loro business personale e, soprattutto, i cantanti han­no finalmente il loro posto, la loro luce. Tranne quando arriva Celentano il qua­le, tuttavia, non è venuto al Festival per cantare e quindi per vincere, come lui stesso scriveva. È venuto per dire, per parlare, per denunciare, per annuncia­re il Verbo, all’indicativo presente, con rari congiuntivi.

È il segno del tempo che passa, del pensiero debole che fugge e sfugge. «... Passano, passano le mode e i tempi, cambiano, cambiano canzoni e ritmi, nascono, nascono cantanti nuovi, come farò a stare a galla non so». Da Tor­no sui miei passi , parole e musica di Adria­no Celentano.

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