Quando discutere di Beckett è un privilegio da prima serata

Per l’editore L’ancora del Mediterraneo sta per uscire un libro molto particolare: Essere ottimisti è da criminali. È il testo, firmato Theodor W. Adorno, di una conversazione televisiva su Samuel Beckett cui partecipò da protagonista il filosofo tedesco. Il 2 febbraio 1968 l’emittente della Repubblica federale tedesca Westdeutscher Rundfunk mandò in onda due opere di Beckett - una rappresentazione di Comédie e il mediometraggio Film, con Buster Keaton - cui seguì il dibattito che vide in studio, oltre Adorno, tre intellettuali all’epoca in auge in Germania: Walter Boehlich, critico letterario di Die Zeit e del Frankfurter Allgemeine Zeitung; l’inglese Martin Esslin, direttore della sezione radiodramma della Bbc; e lo scrittore austriaco Ernst Fischer, acceso militante comunista ed esperto di Musil e Kafka.
Il testo, come si può immaginare, è altissimo dal punto di vista intellettuale (tutti i partecipanti, che conoscevano bene Beckett, avanzano interpretazioni sul suo teatro, raccontano di lui e delle sue opere, spiegano quelle appena mandate in onda). Ma oltre all’aspetto letterario, sul quale non abbiamo gli strumenti per intervenire, è il lato «mediatico» che colpisce. Come spiega il curatore del libro, Gabriele Frasca, il programma andò in onda su un’emittente pubblica, in una fascia oraria di massimo ascolto, per un pubblico che oggi diremmo «generalista». E solo la discussione in studio durò due ore. Essendo il 1968, non abbiamo i dati di ascolto. Però abbiamo una lettera in cui Adorno ringrazia il conduttore, Hans-Geert Falkenberg, per l’atmosfera di grande «umanità» in cui si era svolta la discussione, per la «completa libertà e assenza di limitazioni temporali» di cui avevano goduto i partecipanti, aggiungendo che un “evento” simile poteva ritenersi «mai visto in televisione», sbilanciandosi fino ad affermare che un programma del genere avrebbe potuto dischiudere al mezzo televisivo possibilità «non ancora esplorate». E lo diceva un pensatore che di sociologia e industria culturale qualcosa sapeva. Come è andata a finire, è noto.
Gabriele Frasca, nella postfazione, ricorda come un evento culturale del genere non era un unicum per le tv europee (in realtà neppure una cosa comune). E cita, a esempio, la storica intervista di Pier Paolo Pasolini a Ezra Pound trasmessa dalla Rai nel ’67 e lo speciale su Jacques Lacan Psychanalyse curato da Benoit Jacquot in due puntate, nel ’74, per la tv francese. In più, a chi scrive viene in mente, minimamente paragonabile, e solo per l’Italia e per i tempi più recenti, lo speciale dedicato ai cento anni dalla nascita di Valentino Bompiani andato in onda su Rai2 nel 1999 con Umberto Eco, che tornava in tv dopo 30 anni, e - tra gli altri - Paolo Debenedetti, Alberto Arbasino e Raffaele La Capria.

Per il resto, considerando L’Approdo archeologia culturale, si può citare Match, la trasmissione di Rai2 del 1977 condotta da Arbasino, e poco altro. Dopo - ed è questo il punto di tutto il discorso - bisogna arrivare ad Aldo Busi da Barbara D’Urso. O Fabio Volo da Fabio Fazio.

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