E mentre a Venezia, in quel di Dorsoduro dove ha sede l’università di Ca’ Foscari, si indaga per decidere cosa la comunità scientifica debba pensare dei testi e della produzione filosofica di Umberto Galimberti - che dopo essere stato accusato, a partire dal 2008, di aver utilizzato il lavoro scientifico di decine di colleghi ora è finito sotto inchiesta - quel che resta da fare ai cronisti culturali è esaminare il versante della vicenda che non finirà né sotto lo sguardo degli accademici né sotto quello di tribunali incaricati di prendere decisioni relative al copyright, ossia quello giornalistico. Sì, perché se per quanto riguarda saggi e produzione scientifica ora il dibattito si fa serio, restano le questioni più facete, come le lenzuolate di Galimberti su Repubblica e il fatto che nel quotidiano, universalmente noto per essere il tempio della cultura radical-chic italiana, nessuno si sia mai accorto che Galimberti assemblava e riassemblava sempre gli stessi pezzi.
E qui di nuovo ci vengono in aiuto il saggio Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale che ha costretto Ca’ Foscari ad aprire un fascicolo e il suo autore: Francesco Bucci. Innanzitutto non è che a Repubblica> proprio non sapessero. Bucci più volte ci ha detto «Io a Ezio Mauro avevo scritto, anche prima che scoppiasse il caso...». Certo, un conto è un professorone che riempie le pagine, un conto un lettore puntiglioso, che ci molesta... Però leggere i libri di chi riteniamo un genio, un buon pastore a cui far condurre i nostri lettori, non sarebbe una cattiva idea. E così Francesco Bucci ha dedicato una apposita appendice alle sviolinate che Repubblica e i suoi numi tutelari hanno regalato al loro filosofo ufficiale.
Ecco ad esempio l’opinione di Eugenio Scalfari su Galimberti pubblicata sull’Espresso del 18 gennaio 2007: «Umberto Galimberti è uno dei pensatori che più mi appassionano per la profondità delle sue osservazioni filosofiche, psicologiche, sociali e anche per la nitidezza e semplicità della sua scrittura e del suo eloquio. Per questo da molti anni gli sono amico e consento quasi sempre con le sue tesi». Anche lasciando perdere brutte questioni di plagio e «copia-incolla», fatta salva l’amicizia che è sacra, però è un po’ strano che i due siano d’accordo. Scalfari è un convinto sostenitore dell’illuminismo e del razionalismo, basti pensare a volumi come Attualità dell’illuminismo (di cui era curatore), Per l’alto mare aperto e L’uomo che non credeva in Dio. Una delle frasi più famose di Galimberti invece è: «Il pensiero è folle. Maledetta quella servetta che è la logica» (ipse dixit al festival della filosofia di Sassuolo del 2008). E non basta. Ogni volta che ha potuto, Galimberti ha sparato a palle incatenate contro il pensiero dei Lumi. In Idee: il catalogo è questo senza mezzi termini afferma: «L’età dei Lumi, in cui si è celebrato il trionfo della ragione, è il punto più buio della storia...».
Bucci cita un’infinità di esempi (con pagine, note e riferimenti puntuali).
Ma come ha fatto a non accorgersene Scalfari, proprio lui che definisce la prosa di Galimberti «nitida»? Mah, sarà anche colpa di Galimberti. Anti illuminista da sempre, ha pensato bene di scrivere un intervento per Attualità dell’illuminismo in cui contraddice tutto ciò che ha sostenuto altrove e dà ragione all’amico-fondatore Scalfari: l’Illuminismo diventa qui «un compito etico da cui nessun uomo, che tiene in qualche conto la dignità dell’uomo, può sentirsi esonerato».
Scalfari crudelmente ingannato? Beh però anche lui avrebbe potuto esimersi dal fare una recensione entusiastica di Psiche e Techne. Il libro sarà anche ad «alta intensità letteraria», ma è violentemente antiscientista e antimoderno: «Sembra dunque che la ragione, con Bacone e Galilei, e poi con i forni crematori, abbia realizzato globalmente un’età della tecnica che non lascia vie per la salvezza». E si ride: meno male che Scalfari e Galimberti sono quasi sempre d’accordo... Però una lancia a favore dell’Eugenio protettore di tutti i radical chic bisogna pur spezzarla. Sempre nella recensione a Psiche e Techne (come puntualizza Bucci) butta lì un «le ripetizioni sono la sola menda del libro che altrimenti sarebbe stato perfetto». Sì, in effetti, nel libro ci sono dei pezzi che vengono riutilizzati più volte pari pari... Ma questo forse avrebbe dovuto portare a qualche riflessione in più.
Se si era accorto che Galimberti aveva il morbo della fotocopiatrice avrebbe potuto dircelo più chiaramente e, magari, dare una voce alla sua redazione... Ancora ieri Repubblica taceva.
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