Quando il gelosissimo maschio italico era solo un servizievole cicisbeo

«È la cosa più ridicola che un popolo stupido abbia potuto inventare: sono degli innamorati senza speranza, delle vittime che sacrificano la loro libertà alla dama che hanno scelto. Insomma dopo i cavalieri erranti non c’è nulla di così stupido come un cicisbeo». Così la pensava Montesquieu, in pieno Settecento, a proposito di quello che tutt’Europa considerava un uso prettamente italiano: l’abitudine, quantomai nobiliare, delle gran dame del Bel paese di essere circondate da una gran selva di cavalier serventi e spasimanti, il tutto con il beneplacito del marito. Quindi, udite udite, se per buona parte dell’Ottocento e del Novecento gli italiani sono stati accusati di essere dei cerberi propensi al delitto d’onore, nel secolo dei lumi passavano per essere dei sostenitori del libertinismo più permissivo. O almeno per bizzarri, disposti a interessarsi di tutto piuttosto che della castità delle mogli.
Un luogo comune da illuministi insomma, oggi quasi dimenticato, su cui ha deciso di tornare Roberto Bizzocchi, storico modernista dell’Università di Pisa nel suo Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia (Laterza, pagg. 352, euro 20). Ne è nato un saggio colto ma pieno di curiosità per chi ama le atmosfere dei palazzi sfarzosi in bilico tra rococò e neoclassico, le parrucche e gli amorazzi da salotto. Certo a conti fatti con la storia si resterà un po’ delusi. Qualche «cicisbeata» come quella di Pietro Verri con Maddalena Beccaria, sfociava nel sentimento e nel carnale, qualcun’altra nel ridicolo da commedia goldoniana. Per lo più però era semplicemente l’unica risposta possibile in una società dove l’antica prassi dei matrimoni combinati era, socialmente e politicamente, ineliminabile e il concetto di libertà personale si stava facendo rapidamente strada. Insomma quasi una tappa obbligata della modernità e della parità dei sessi che sarebbe arrivata a secoli di distanza.
Quanto all’italianità della pratica descritta da Montesquieu e dai molti altri letterati descritti da Bizzocchi: leggendo il saggio ci si rende conto che era per certi versi un mito.

L’italica nobiltà aveva semplicemente sistematizzato abitudini che erano partite dalla Francia e che rapidamente si sarebbero diffuse in tutta Europa, per poi essere altrettanto rapidamente abbandonate. Eppure a quanto pare il maschio italiano da tre secoli figura male nell’immaginario collettivo: o è un vagheggino o ha una lupara.

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