Quando l'Urss cancellava la cronaca nera

Tom Rob Smith, giallista autore di Bambino 44 (presto in film), ambienta tutti i suoi noir nella Mosca degli anni 50. "Il regime negava l'esistenza di delitti nei Paesi comunisti. I pochi poliziotti che indagavano erano eroi"

Quando l'Urss cancellava la cronaca nera

Profondamente convinto che la Russia negli anni ’50 sia stata un affascinante laboratorio criminale poco esplorato dal mondo del thriller lo scrittore inglese Tom Rob Smith ha dato l’avvio con due romanzi densi di colpi di scena come Bambino 44 e Il rapporto segreto (Sperling & Kupfer) a un avvincente saga che ci mostra la «metà oscura» del regime comunista. Protagonista di questi due bestseller è Leo Stepanovic Demidov che vediamo man mano nel ruolo di ex eroe di guerra, investigatore dell’Mgb (il ministero della Sicurezza di Stato precedente al Kgb), indagato per crimini di sovversione dello Stato ma anche artefice della nascita del dipartimento Omicidi di Mosca e quindi di nuovo reietto nel terribile gulag siberiano di Kolyma e costretto a giustificare le proprie azioni di poliziotto ligio al partito e ancor di più alla moralità. Un poliziotto che per salvare se stesso e la propria famiglia ne Il rapporto segreto (ambientato dopo la caduta del regime di Stalin) accetta di entrare a contatto con il mondo della malavita e si ritroverà persino a cercare di sopravvivere nella Budapest lacerata dalla rivolta ungherese. La Russia in cui si muove Demidov è un Paese che si fingeva convinto che «il furto, l’omicidio e lo stupro fossero sintomi di una società capitalistica» e che non si curava di prevenire né di indagare su certi crimini come i delitti seriali perché era considerato impossibile che accadessero in un Paese comunista. Per costruire questa saga Tom Rob Smith ha avuto la possibilità di leggere molti materiali di prima mano a partire dalle trascrizioni degli interrogatori di polizia dell’epoca, ora disponibili dopo essere stati custoditi gelosamente, per anni, negli oscuri archivi del Kgb.

Si aspettava un così grande successo per il suo «Bambino 44»?
«Mentre lo stavo scrivendo la mia unica speranza era che il mio romanzo venisse pubblicato. Forse, inconsciamente, cercavo di gestire al meglio le mie aspettative per evitare di non restare deluso. Il successo internazionale è stata una piacevole sorpresa».

Ha notizie sulla lavorazione del film di Ridley Scott tratto dal suo libro e cosa ne pensa della sceneggiatura che ne ha tratto un grande noirista come Richard Price?
«La sceneggiatura è davvero grandiosa. Price (che ha lavorato a lungo fianco a fianco di Martin Scorsese e Spike Lee) è uno scrittore incredibile e il suo trattamento suona moderno ed eccitante. Tutto quello che speravo in realtà si è avverato. Considerando poi le difficoltà di realizzazione di un progetto cinematografico così complicato la lavorazione del film sta procedendo in maniera piuttosto veloce.

Che cosa l’ha spinta a scrivere un libro come «Bambino 44»?
«Per prima cosa il caso reale del serial killer Andrej Chikatilo. Anzi sarebbe più preciso dire che la cosa che di più mi ha colpito e spinto a narrare quelle vicende è stato come le autorità sovietiche reagirono a quei delitti. Il fatto che arrivarono persino a negare che un killer del genere potesse mai esistere in un Paese comunista è stato un eccitante spunto di partenza per me. Molta della mia indagine di fiction si è basata e ha seguito di pari passo quella reale dell’epoca (anche se la mia storia è ambientata negli anni Cinquanta e non nel periodo tra la fine degli anni Settanta e gli anni Novanta in cui realmente avvennero quegli omicidi). Per davvero, gli inquirenti attribuirono quei crimini a ubriachi, barboni... Ci furono due tipi di barbarie: quelle attuate dal serial killer e quelle attuate dalle forze di polizia».

Come mai ha deciso di scrivere una saga ambientata nel passato e non nella Russia di oggi?
«La mia storia è basata sui fatti politici e sociali di quell’epoca. Quello che volevo mostrare era il Comunismo Sovietico come un’utopia che credeva fermamente che il crimine non potesse esistere».

Quali sono state le sue principali fonti di documentazione?
«Ovviamente il Rapporto Stalin stesso che dà il titolo al mio libro. Quelle quattro ore di rapporto fatto pubblicamente da Nikita Khrushchev e che svelò al mondo gli orrori e gli errori del precedente regime e di cui ho trovato la trascrizione completa sono state sicuramente cruciali. Ma mi è stata molto utile anche una biografia di Khrushchev redatta da William Taubman, oltre a tutti i libri che avevo letto per prepararmi a scrivere Bambino 44, tutti i verbali degli interrogatori di polizia dell’epoca che da qualche anno gli archivi del Kgb hanno messo a disposizione per le consultazioni».

È vero che gli uomini al servizio della legge in quel periodo storico vennero spesso considerati dei criminali mentre molti criminali divennero uomini di legge?
«Forse non in maniera così letterale...

Ma la mia idea era quella di mostrare l’immagine di una società molto controversa dove coloro che vennero spediti nei gulag furono definiti come dei criminali ma nella realtà erano delle persone innocenti, mentre quelli che rimasero tranquilli nelle loro case e che furono i responsabili principali degli arresti e che rappresentavano ufficialmente la legge, nella realtà dei fatti, erano dei veri e propri criminali».

Pensa di continuare la sua saga russa?
«C’è ancora un altro libro, quello finale che completerà la mia storia. Ma non ho ancora pensato a un titolo».

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