Quando Maroni finì in ospedale

Sono le 10 di mattina del 18 settembre 1996 quando cinque agenti della Digos si presentano davanti alla sede della Lega Nord, in via Bellerio, a Milano. Non hanno alcun mandato di perquisizione e per ore aspettano che arrivino ordini precisi dalla procura della Repubblica di Verona. Alle 17,30, esibendo la fotocopia del mandato, gli agenti entrano. Accorrono parlamentari, militanti, funzionari leghisti. Si forma un cordone a protezione degli uffici. Roberto Maroni decide di chiamare i carabinieri contro «l’illegittima violazione della sede di un partito politico». Inizia il parapiglia. E tra urla e botte gli agenti accedono alla rampa che porta al seminterrato di via Bellerio. Verso le 18 arriva Umberto Bossi. Sembra che le acque si calmino, ma la Digos torna alla carica e si dirige verso l’ufficio di Maroni. I parlamentari della Lega gridano: «Fascisti, banditi, Cile, Cile, Pinochet». Maroni: «Vogliono entrare nell’ufficio di un parlamentare! Questo assomiglia molto a un colpo di Stato».

Arrivano altri agenti e continuano a volare pugni. Maroni viene scaraventato a terra e finirà in ospedale, la Digos entra nel suo ufficio dopo una battaglia campale e procede al sequestro richiesto dal procuratore capo di Verona Papalia.

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