Politica

Quando il Pci diffidava della democrazia

da Roma

Un pesante condizionamento sulla storia d’Italia dagli anni del secondo conflitto mondiale fino ai giorni nostri. Una storiografia che ha a lungo ignorato le relazioni pericolose del Pci con l’Unione sovietica. Una pervicace continuità fra comunisti e «post» in nome della demonizzazione dell’avversario politico, si chiami esso De Gasperi, Fanfani, Craxi o Berlusconi. Un cambio di denominazione da Pci a Pds che lungi dal simboleggiare «una scelta riformista e socialdemocratica» - osserva Fabrizio Cicchitto - ha posto le sue basi su una «piattaforma massimalista e giustizialista», fino a «cavalcare l’uso politico della giustizia per concorrere alla distruzione del Psi».
A ricostruire passo dopo passo, ancorandola a solidi riferimenti, «l’influenza del comunismo nella storia d’Italia», è stato un nutrito parterre di esponenti politici, studiosi ed intellettuali riuniti al Capranichetta di Roma dalla rivista «L’Ircocervo» e dalla fondazione Magna Carta. I quali, muovendo da diverse prospettive, hanno sviscerato la genesi e l’evoluzione dell’«anomalia italiana» di un comunismo incapace di trovare nella propria classe dirigente «il coraggio e il revisionismo culturale - per dirla con il vicecoordinatore di Forza Italia - di proporre il trapasso verso la socialdemocrazia». Un’anomalia che nel corso dei decenni, afferma Salvatore Sechi, ha indotto il Pci a ritenere insufficiente «lo scudo della democrazia», anzi a diffidarne, fino a «servirsi di varianti molto simili a quelle del vecchio partito della guerra civile». Un’anomalia che invece un’opposta (e non disinteressata) lente interpretativa riconduce a quel «paradigma della “diversità” del comunismo italiano» che il senatore azzurro Gaetano Quagliariello ha preso di mira ripercorrendo in parallelo la storia del Pci e dei «cugini» francesi del Pcf. Una storia che sul versante italiano Quagliariello, presidente di Magna Carta, non esita a definire «fallimentare», e della quale afferma: «Le scissioni che si annunciano nel Ds non sono altro che gli smaltimenti degli ultimi residui».
Una prospettiva che grazie all’apertura dei primi archivi sta iniziando, seppure a fatica, a erodere la decennale sedimentazione storiografica e manualistica. Attraverso la ricostruzione dei legami di ferro con Mosca, le prove di finanziamenti e supporto logistico, documenti che consentono «di far risalire a Stalin - spiega Elena Aga Rossi - scelte cruciali attribuite a Togliatti». Come quella di vietare ai comunisti italiani l’insurrezione armata.

Perché se in Italia non c’è stata una guerra civile, chiosa Cicchitto, non lo si deve al «Migliore», ma a Stalin, «che rispettò la divisione internazionale del mondo».

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