Quante bandiere socialiste ammainate da quel giorno di 120 anni fa

Quest'anno si celebrano i 120 anni della fondazione del Partito Socialista Italiano nel capoluogo ligure. E i socialisti che ebbero il merito di trasformare nei decenni dell'età giolittiana «una plebe in un popolo» rischiano di vedere definitivamente ammainate la loro bandiere in uno stillicidio di inadeguatezze e di sterilità che hanno svuotato di ruolo le gloriose bandiere rosse, che anche a Genova hanno avuto storia e ruolo importante. Già nell'afosa giornata del luglio 1992 quando da piazza Matteotti Giuliano Amato e pochi attivisti scesero verso salita Pollaioli per andare a scoprire in una oscura trattoria una lapide commemorativa della fondazione del Psi, proprio nel Centro Storico genovese, la manifestazione, nel pieno della tempesta di Tangentopoli era stata triste e oscura. Nessun entusiasmo a ricordare che Filippo Turati e Anna Kuliscioff («l'unico socialista con le palle» si diceva di questa bellissima e coraggiosa signora russa) presero la decisione di rompere i ponti con la tradizione anarchica che, tra individualismo e ribellismo, impediva di dare ai militanti socialisti un ruolo strategico nei conflitti sociali nel momento della grande trasformazione industriale del paese. Mario Gori intrepido avvocato toscano, autore delle parole della notissima ballata «Addio Lugano belle», pronunciò alla sala Sivori in piazza Corvetto un affascinante discorso. Ma la frattura era consumata. A Genova da tutte regioni di Italia i sostenitori degli ideali di giustizia libertà e uguaglianza erano arrivati perché in quell'anno si svolgeva l'esposizione in onore dei quattrocento anni della scoperta dell'America e il biglietto del treno si acquistava con forti sconti.
Oggi in vista delle elezioni comunali di primavere è rimasta solo l'ex vice questore Angela Burlando ad alimentare un tenue focherello che ricordi gli splendori del «sol dell'avvenire». Una angusta federazione in via Bobbio una sezione a Pegli qualche centinaio di iscritti, grandi abilità affabulatorie nell'analizzare la crisi, ma poche energie per andare a risolvere nel territorio, come si ama dire in sociologia, i gravi problemi della città. Tutto appare in crisi e lontani anni luce appaiono i grandi nomi del socialismo genovese: Gaetano Barbareschi, senatore e sottosegretario al Lavoro dopo la guerra, Vannuccio Faralli, sindaco della liberazione, Sandro Pertini direttore del «Lavoro». E poi tanti troppi personaggi che con il candore di quegli ideali poco avevano a che fare: Alberto Teardo, Paolo Macchiavelli, Delio Meoli. Tutti coinvolti in procedimenti penali. E poi il volenteroso senatore Franco Fossa immischiato nella storia della P2 insieme al figlio Michele. Caduto Craxi fu la diaspora. Gianni Baget Bozzo pensatore di prima grandezza, come aveva già fatto con Pacciardi e Craxi ossequiò anche Berlusconi, Tonino Bettanini e Fabrizio Moro che pure erano stati due bravi segretari provinciali scapparono dal PSI tra i primi. Cerofolini sindaco di modesta levatura con il buon Edoardo Guglielmino medico dal grande cuore passò al PD. Il segretario provinciale della Uil Pasquale Ottonello dal PSI passò a Forza Italia ed ora è tornato all'ombra delle forze di sinistra. In occasione della primarie per sostenere Angela Burlando ci sarà una riunione di socialisti nell'osteria di salita Pollaioli. Le piazze non si addicono più alle moltitudini socialiste.

La televisione ha sbancato gli ascolti «umani» e le idee sono imbalsamate in un agitarsi solitario e vuoto. Eppure basterebbe sfoderare un vecchio slogan di Pietro Nenni «Pane, libertà, pace».
*giornalista, già militante Psi

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