Quattro passi nelle città «metafisiche»

Sabrina Vedovotto

Puntuale, deciso, a volte anche didascalico. È partendo da questi aggettivi che si può raccontare il lavoro di Donata Pizzi, presentato presso l’Archivio Centrale dello Stato all’Eur. Una serie di fotografie che raccontano, descrivono, senza mai prendere posizioni nette. Sono immagini di luoghi, forti, presenti, architetture urbane di cittadine lontane, avulse quasi dai luoghi contenitori di umanità. Donata Pizzi ha iniziato questo lavoro molti anni, fa. Nel grande salone dell’Archivio ci sono molte immagini, divise per temi, e alcune anche per dimensioni. «Città metafisiche» è il titolo della mostra, che rientra nel Festival della Fotografia. Sono scatti, memorie di luoghi poco conosciuti, architetture di fondazione dall’Italia all’Oltremare, come suggerisce il sottotitolo. Un viaggio attraverso un numero di scatti che provano a raccontare il passaggio, il momento di transizione verso l’architettura italiana. Donata Pizzi ha viaggiato molto per realizzare questa mostra, all’estero e in Italia, grazie anche al contributo della Regione Lazio.
Il suo è un lavoro di ricerca, di analisi, che parte dai borghi di fondazione che si trovano in Puglia, in Sicilia, in Sardegna, per approdare alle città nuove, quelle pensate, progettate e costruite in tempi relativamente recenti, come Sabaudia, Pomezia, Aprilia, per poi puntare lo sguardo approfondito a quello che è successo fuori dall’Italia, nei cosiddetti insediamenti d’Oltremare, realmente poco conosciuti, come Gimma in Etiopia, Shaat in Libia, Bendasi, sempre in Libia. L’obiettivo della Pizzi è di rendere omaggio all’architettura del Novecento, una indagine diretta sugli aspetti meno noti dell’architettura italiana degli anni Trenta che generarono in diverse regioni italiane e nelle colonie nuovi insediamenti. Città metafisiche anche perché i soggetti presi in esame sembrano essere zone franche, «non luoghi», senza persone, senza vita quasi. La Pizzi stessa dice infatti di aver cercato di fotografare in momenti di luce particolare possibilmente senza tracce di vita recente.

«Istintivamente questa mi era parsa una necessità estetica, per restituire i luoghi nella massima leggibilità, ma mi sono più tardi resa conto che il vuoto di cose e persone restituiva intatto a queste città “interrotte” la suggestione completa della loro breve storia».
Archivio Centrale dello Stato. Piazzale degli Archivi 27. Dal lunedì al venerdì dalle ore 15 alle ore 18. sabato dalle ora 10 alle ore 13.

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