Quei siciliani sembrano stranieri in casa loro
22 Gennaio 2012 - 09:14È sorprendente come il presidente di Confindustria Sicilia lanci l’allarme mafia tra gli agricoltori siciliani che scioperano contro caro gasolio, deprezzamento dei prodotti e oligopolio della distribuzione
È sorprendente come il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello lanci l’allarme mafia tra gli agricoltori siciliani che scioperano contro il caro gasolio, il deprezzamento dei prodotti e l’oligopolio della distribuzione. Perché è proprio la mafia- quella dicui Lo Bello non si accorgeche drena risorse milionarie dallo Stato e dall’Unione Europea, sottraendole, di fatto, all’agricoltura per alimentare invece il miraggio di un’energia pulita che tale non è, come dimostrano le numerose inchieste che hanno rivelato le infiltrazioni criminali in un settore di grande business. Per i contadini siciliani, dunque, oltre al danno, la beffa: non solo privati di risorse che sarebbe legittimo destinare all’agricoltura, da secoli la prima risorsa dell'Isola, ma addirittura additati di essere spalleggiati da Cosa nostra. Un’accusa generica,senza l’indicazione di nomi, circostanze, fatti. Una mafia immaginata.
La colpa di questi agricoltori sembra quella di non militare a sinistra. O di avere ricevuto la solidarietà di Maurizio Zamparini e di numerosi esponenti di centrodestra.
E sta forse in questa condizione l’uso improprio, ancora una volta, della mafia, per alimentare paure e delegittimare una protesta che ha ragioni condivisibili perché ha ridotto migliaia di fieri contadini alla fame.
E solo un «non siciliano», quale dimostra di essere, con le sue parole, il presidente di Confindustria Lo Bello, può esprimersi in maniera così sprezzante con i lavoratori della terra costretti ad estirpare vigneti e uliveti per far posto a pale eoliche e impianti fotovoltaici.
Si occupino di questo, il capo della Procura di Palermo Francesco Messineo e ilprocuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso, subito accorsi a spalleggiare Lo Bello.
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Silvio Berlusconi è nato il 29 settembre del 1936. Credo verso le 6 del pomeriggio. Fino al 29 settembre del 1994, verso le 6 del pomeriggio, la sua lunga e vasta impresa aziendale non è stata sottoposta a indagine giudiziaria. A quel tempo aveva più o meno la mia età di ora, ma io, in 20 anni, ho avuto circa 350 processi.
Come nel mio caso lui, partito più tardi, è diventato soggetto interessante soltanto da quando ha iniziato a fare politica. La vera impunità l’aveva prima.E oggi è evidente che l’azione dei magistrati aveva un carattere punitivo. Non riuscendoci con altri argomenti, hanno deciso di criminalizzarne la vita sessuale. Non sono riusciti a ingannare una giovane ragazza diciannovenne di Modena, che, poco conoscendo le procedure, mi ha detto un giorno: «Conosco un sacco di uomini ricchi e maturi che vanno in giro con ragazze giovani e le mantengono, ma nessuno è stato processato per questo. Forse Berlusconi lo è in quanto presidente del Consiglio ?».
Ecco l’imperatore (letteralmente) nudo. Tutti gli altri vestiti. La prova finale, a nostro danno è il «processo Mills», dove l'unico obiettivo dei magistrati inquirenti e giudicanti, è lo sfregio: arrivare, comunque, a una condanna, esemplare e simbolica, a spese nostre, un’ora prima della prescrizione.
Ci si balocca sul minuto della scadenza per potere emettere una sentenza. Che non può avere altro effetto che di sfregio. Ci si chiede perché far funzionare i tribunali nell'assoluta certezza della vanità dell’azione.
Un magistrato che avesse senso dello Stato lascerebbe il giudizio alla sfera morale (con l’ampio discredito garantito dall’informazione giornalistica) e dichiarerebbe decaduto, per inderogabili ragioni morali, un processo destinato a estinguersi senza potere arrivare a una sentenza definitiva, che è l'obiettivo logico di ogni azione giudiziaria. Il «processo Mills» non è un processo ma una ripicca di un magistrato che non ha rispettato i tempi della vita di Gabriele Cagliari, ma vuole un’affermazione agonistica. Non altrimenti si possono leggere gli articoli che parlano di «sentenza al fotofinish» e che concludono una sequenza di appuntamenti accelerati fino all’undici febbraio con «arringhe non brevi», «repliche e camera di consiglio notturne» per una «sentenza di primo grado in zona Cesarini», comunque già prescritta il giorno dopo. Una vergogna.
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Saviano cittadino milanese, non pensa a Manzoni, ma a Cosentino; Stendhal rinuncia alla cittadinanza.
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