Quel cortocircuito parigino

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È impossibile prevedere se davvero prevarrà il «no» al referendum francese di domenica sulla ratifica del Trattato costituzionale europeo, come pure sembrano indicare i sondaggi diffusi a piene mani in queste settimane. Come dicono gli stessi esperti, sondaggi del genere sono scarsamente affidabili perché molti sono gli elettori indecisi e, tra questi, molti decidono se e come votare solo all'ultimo momento, sulla base di elementi non chiari. Inoltre, tutti i sondaggi hanno un margine fisiologico d'errore, che particolarmente in questo caso rende assai dubbia la loro stessa utilità. Il «sì» e il «no» risulterebbero infatti divisi da pochi punti percentuali, quegli stessi punti che costituiscono la cosiddetta «forchetta», cioè il margine d'approssimazione della (...)

(...) previsione. A ben pensarci, ciò azzera la stessa credibilità sostanziale di queste previsioni.
Eppure, l'ampia diffusione dei sondaggi che tendono a prevedere la vittoria del «no» ha avuto di mira uno scopo ben preciso: incitare i francesi al voto favorevole per la Costituzione europea, facendo leva sulle conseguenze, definite catastrofiche, dell'eventuale vittoria del «no». In queste settimane, gli argomenti pacati e razionali a favore del «sì», che naturalmente esistono e sono sostanziosi, sono stati spesso dimenticati e al loro posto si è fatto ricorso a un singolare terrorismo elettorale. In questo clima, gli elettori francesi sembrano chiamati a votare sotto l'occhio severo di un'opinione pubblica europea, pronta a giudicarli malissimo se sceglieranno per il «no». Essi vengono posti di fronte al rischio di far regredire la Francia, da Paese fondatore e guida dell'integrazione europea, a pecora nera dell'Europa. Si è agitato lo spettro del ritorno a funesti nazionalismi, del ripiegamento anacronistico verso le «piccole Patrie» nell'epoca della competizione globale, e non viene naturalmente risparmiata la minaccia definitiva: la vittoria del «no» segnerebbe la fine dell'Europa.
Il paradosso è che, in questo modo, la stessa genuinità e autenticità del referendum viene messa in discussione, prima ancora di conoscerne l'esito. Se si decide il ricorso al referendum, dovrebbe essere in partenza chiaro che il «sì» e il «no» hanno la stessa identica legittimazione, e il Paese che fa ricorso a questa strada, per la ratifica del Trattato costituzionale europeo, dovrebbe essere pronto ad accettare entrambi i risultati. Il referendum si fa per verificare se gli elettori accettano o non accettano la Costituzione europea. Ma se, in anticipo, l'eventuale prevalenza del «no» viene bollata come una catastrofe, se la sola vittoria del «sì» viene considerata accettabile, si assiste a un singolare cortocircuito. Un referendum nel quale (orrore!) il popolo non sia in grado di orientarsi per il meglio, diventa un impiccio fastidioso, una inaccettabile «deriva plebiscitaria». Si finisce per pensare - ma qualcuno anche lo dice - che «per certe cose» (quelle importanti) è meglio non interpellare il popolo, che alla fine è comunque ignorante e non sa decidere bene. Talvolta, viene sfiorato il ridicolo costituzionale, come accade nelle proposte di coloro che dicono: se al referendum francese prevalgono i «no», ebbene, aspettiamo che la maggioranza degli altri Paesi ratifichi, e poi rifacciamo il referendum (addirittura col sottinteso che, a questo punto, i francesi dovrebbero essere posti di fronte all'alternativa secca: «sì» o «no» ad ogni forma di integrazione europea, non già a questo o quell'assetto costituzionale). Come dire, fai pure il referendum, ma se voti come a me non piace dovrai rivotare...
Così, invece di riflettere sugli evidenti difetti di comunicazione che hanno impedito a larghi strati dell'elettorato francese di apprezzare il progetto di Costituzione europea, le élites intellettuali filo-europeiste si perdono in ragionamenti poco coerenti e, alla fine, antidemocratici. Invece di cogliere l'occasione, che il referendum rappresenta, per colmare almeno un poco il deficit democratico da sempre rimproverato al procedimento d'integrazione europea, esse appaiono disorientate e incapaci di avvicinare all'opinione pubblica le loro idee-forza.
Sembra che, in Francia, in queste settimane, si discuta davvero, tra la gente, di Costituzione europea, di allargamento, di politiche economiche, di globalizzazione.

Invece di apprezzare questo straordinario risultato di integrazione politica attraverso la discussione, anche aspra, tra le diverse tesi, le élites filo-europeiste sembrano pensare che sarebbe stato molto meglio non fare questo referendum.
Indipendentemente da come finirà, le élites filo-europeiste il loro referendum lo hanno già perduto.
*Ordinario di Diritto

costituzionale all’Università
degli Studi di Milano

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