Quel Natale sconosciuto della scuola

Ci voleva l'articolo appassionato di un «mussulmano laico» come Magdi Allam per smascherare la superficialità e la tristezza ideologica che si nascondono dietro le azioni di quanti si sono adoperati in questi giorni per cancellare dal Natale i simboli «religiosi e umani che si ispirano al cristianesimo». Dalla tradizione del presepe al coro «Tu scendi dalle stelle» da far cantare ai bambini delle scuole materne. Ho sotto gli occhi la dichiarazione del direttore didattico di una di quelle scuole: «In questo modo», spiega, «cerchiamo di non offendere la sensibilità di bambini di religione e culture diverse». L'articolo del Corriere della Sera ci ricorda molto semplicemente che in 25 Paesi a maggioranza mussulmana il Natale cristiano e quello ortodosso sono considerati festa nazionale e sono animati, entrambi, dagli stessi sentimenti universali di fratellanza e di amore tra gli uomini di buona volontà che guidano nel nostro Paese l'allestimento di un presepe o di un coro natalizio. Ci ricorda anche che la figura di Gesù e quella di Maria sono importanti anche per i mussulmani e vengono citate più volte, con venerazione e con rispetto, nel Corano stesso. Ma se anche non fosse tutto così semplice, aggiungo io, se qualche mussulmano si sentisse urtato nella sua suscettibilità e nascesse qualche tensione, la scuola e i suoi maestri, direttori didattici compresi, non sono lì per questo, per spiegare e per chiarire? Quale occasione migliore del Natale per fare partecipi di questi sentimenti universali tutti gli alunni e le loro famiglie, qualunque sia la loro religione? Quale momento migliore per illustrare ai bambini le verità più profonde del cristianesimo e il loro rapporto con le verità più profonde dell'Islam? A proposito delle possibili tensioni tra mondo occidentale e mondo mussulmano, una importante scrittrice mussulmana, Irshad Manji, racconta così in un suo libro ciò che rispose Martin Luther King ad alcuni sedicenti progressisti di Birmingham che gli chiedevano di smettere di fomentare tensioni inutili nella loro città. «Confesso», disse, «di non essere spaventato dalla parola tensione. Mi sono sempre opposto alle contrapposizioni violente, ma esiste un genere di tensione morale che ritengo assolutamente necessaria alla crescita di tutti noi, quella che Socrate chiamava la tensione della mente, la tensione capace di aiutare gli uomini ad emergere dalle oscurità del pregiudizio per scalare le vette della comprensione e della fratellanza». Scrive ancora Irshad Manji: «Se fossi cresciuta in un Paese islamico probabilmente sarei diventata un'atea convinta. Se invece ho capito che non volevo rinunciare all'Islam è stato grazie al fatto di vivere in questa parte di mondo, l'Occidente, dove posso pensare, discutere e approfondire in piena libertà qualsiasi argomento, anche di ordine religioso». Il libro di Irshad Manji ha un titolo significativo: «Quando abbiamo smesso di pensare?» ed è dedicato a tutti i mussulmani che si muovono alla ricerca di un Islam aperto alle riforme e alla democrazia. C'è una domanda, allora, che vorrei porre ai nostri connazionali che hanno deciso di cancellare i simboli del Natale, sventolando la bandiera di un multiculturalismo che mortifica e avvilisce in primo luogo la dignità di chi dice di non voler offendere. E che vorrei porre anche a quelli che, come riporta il Giornale di ieri, hanno deciso di negare ad un vescovo la consueta visita pastorale in un istituto di San Gimignano durante le feste di fine anno, per non turbare le coscienze di chi non è cristiano.

Una domanda facile, da tenere bene in vista accanto all'albero di Natale, se il presepe non c'è più, e proprio sotto la stella cometa, sempre che non abbiano fatto sparire anche quella: - ma voi, quando avete smesso di pensare? -.

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