Quel passo stanco di Spagna e Irlanda

C’era una volta il boom economico, ma nella favola di Spagna e Irlanda rischia davvero di non esserci il lieto fine. Il toro iberico e la celtic tiger stanno sentendo i morsi della crisi dopo decenni di sviluppo ininterrotto fondato soprattutto sul settore immobiliare e delle costruzioni, il più esposto ai rovesci della congiuntura internazionale.
I dati diffusi negli ultimi due giorni sono stati una vera doccia fredda per Madrid e il governo Zapatero, il cui livello di consenso è precipitato negli ultimi sondaggi: il Pil è sceso nel terzo trimestre 2008 dello 0,2%, i disoccupati hanno superato quota tre milioni e la produzione industriale è crollata in novembre di oltre il 15%, il dato peggiore dal 1993. Allo stesso modo, Dublino ha dovuto incassare la decisione di Dell di trasferire la produzione in Polonia. La chiusura degli impianti nell’isola del colosso Usa, le cui attività contribuiscono per il 5% al Pil irlandese, significherà il licenziamento per 1.900 lavoratori aggravando un’emorragia occupazionale che ha portato il tasso di disoccupazione in dicembre all’8,3% e i senza lavoro a quota 293mila, il livello più alto degli ultimi 16 anni. Da qualche mese, tra la popolazione è riaffiorata l’antica paura di un’emigrazione di massa. Insomma, dopo lo storico sorpasso nella classifica del Pil pro capite effettuato a spese dell’Italia (nel 2007 quello spagnolo e l’anno prima quello irlandese) il meccanismo si è inceppato. E non è difficile individuarne, in particolare nel caso della Spagna, il motivo. Sfruttando i quasi 170 miliardi di euro ricevuti in circa 20 anni dall’Ue, Madrid ha costruito le basi per modernizzare il Paese e avviare un progresso che dal 1986 non aveva, fino ad ora, conosciuto intoppi. Eccessivo, però, il peso assegnato al settore delle costruzioni. Questo comparto vale oggi il 17% dell’intera ricchezza nazionale, una percentuale figlia anche della bolla immobiliare che è andata gonfiandosi soprattutto nell’ultimo decennio prima di esplodere in seguito al virus dei mutui subprime. Alla distruzione di posti di lavoro (oltre 300mila nel 2008) si è accompagnato il deprezzamento delle abitazioni, il cui valore è destinato a calare del 25% entro il 2011, e delle compravendite (il 70% in meno negli ultimi tre anni), mentre le stime per il 2009 indicano che saranno costruiti solo 150mila nuovi alloggi (760mila nel 2006, l’anno del boom).
Visto il peso del comparto edile, è evidente che questa paralisi rischia di allargarsi all’intera economia. Le contromisure decise da Zapatero (dagli sgravi fiscali fino al programma di grandi opere pubbliche per 123 miliardi di euro) per tamponare la crisi non sembrano aver convinto gli spagnoli, che cominciano a interrogarsi se l’attuale premier non abbia fatto altro che raccogliere i frutti - finché è stato possibile - di quanto seminato dal suo predecessore, José Maria Aznar. Quanto all’Irlanda, è stato il primo Paese europeo a scivolare in recessione tecnica già alla fine del secondo trimestre 2008. L’isola verde non sembra più in grado di attrarre capitali stranieri nonostante la politica fiscale assai generosa nei confronti delle imprese. Altrove, come appunto in Polonia, il costo del lavoro è talmente basso da più che compensare l’eventuale regime fiscale meno favorevole di quello irlandese.

Anche in questo caso, gli effetti della crisi immobiliare si stanno facendo sentire: le 50mila nuove case costruite l’anno scorso dovrebbero dimezzarsi nel 2009. Il sistema bancario appare inoltre vulnerabile, al punto da aver indotto il governo a varare un piano di salvataggio da 10 miliardi di euro. Per il toro e la tigre sarà un anno difficile.

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