Renato Brunetta ha ragione quando dice che l’articolo 1 della Costituzione che afferma che l’Italia è una Repubblica democratica «fondata sul lavoro» è una norma ormai inutile. Ed ha torto il solito Antonio di Pietro che la difende e se la prende con il presidente della Repubblica che sostiene, più in generale, che la costituzione può essere modificata... La costituzione è modificabile e Di Pietro, che ha una laurea in legge, dovrebbe sapere che ben 38 articoli o commi della costituzione italiana dal 1848 in poi sono stati modificati. Quello che stabilisce la promozione della parità fra donna e uomo è stato introdotto nel gennaio nel 2003. Qualche professore di diritto costituzionale prende in giro la dizione dell’articolo 1 osservando «forse che la repubblica può essere fondata sull’ozio?». Ma è una battuta ironica.
In realtà questa formula è un retaggio del tentativo fallito di introdurre nella nostra costituzione un principio semi sovietico. Infatti l’onorevole Cevolotto, appartenente allo sparuto partito della democrazia del lavoro (una sorta di partito liberal socialista, composto solo di tre costituenti), relatore dell’articolo 1, nella seduta del 22 marzo del 1947 aveva proposta la norma «L’Italia è una repubblica democratica». Alcuni, come il giovane Aldo Moro, dc di sinistra, dissero che era una espressione «troppo algida». Palmiro Togliatti, capo del Partito comunista italiano, che non aspettava altro, presentò un emendamento che affermava che «l’Italia è una repubblica democratica di lavoratori». Una espressione classista di sapore sovietico. Infatti richiamava la denominazione della Russia sovietica, in quanto la parola «soviet» si riferiva ai «consigli dei lavoratori» che erano ufficialmente alla base della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ovvero Urss... La proposta, di Togliatti fu sostenuta oltreché dal Pci, anche da Lelio Basso, leader della sinistra del Psi e dall’onorevole Pacciardi, repubblicano, che però dichiarò che non voleva darvi un significato classista. Il dc di sinistra Giovanni Gronchi obbiettò che è illogico negare che la parola «lavoratori» ha un significato classista. I liberali erano inorriditi di questa formula, anche il partito socialdemocratico di Saragat, sorto nel gennaio di quell’anno, era contrario. Pertanto Amintore Fanfani, allora massimo leader dei dc di sinistra propose la formula attuale per cui la repubblica è si democratica, ma fondata sul lavoro. Per tentare spiegare il senso ambiguo di questa espressione. Fanfani sostenne che essa vuol solo dire che si esclude che la repubblica «possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui». Ma chiunque sapesse di economia capiva benissimo che questa frase, in sede di interpretazione, poteva dare predominanza al lavoro sulla proprietà e sull’impresa. E invano il liberale Guido Cortese, per sventare questa interpretazione, propose un emendamento che stabiliva che nessuna parte del popolo e nessun individuo può attribuirsi l’esercizio della sovranità popolare. La norma però era infelice, perché il senso eventuale della introduzione del lavoro nell’articolo 1 non era di modificare il sistema elettorale ma i contratti di lavoro in agricoltura, nell’industria e nei pubblici servizi. Così l’emendamento Cortese fu respinto come superfluo. E l’articolo 1 è in effetti servito alla Corte Costituzionale per sentenze con cui si irrigidiva il sistema di mercato, a favore di privilegi dei lavoratori, ad esempio impiegati pubblici... Ora l’Unione sovietica non c’è più da un pezzo e gli ex comunisti del Pd non pensano di resuscitarne le espressioni. Con il Trattato di Maastricht dell’Unione europea che l’Italia ha firmato questa interpretazione dell’articolo 1 non è più possibile perché questo Trattato prescrive l’economia di mercato senza discriminazioni. E il lavoro è tutelato (almeno nelle buone intenzioni) come la libertà di impresa, quella di movimento di capitali e il risparmio. Così la frase per cui l’Italia è fondata sul lavoro è un relitto del passato, come l’URSS. Ovviamente la si può anche lasciare, perché non ha più efficacia. Altre riforme della Costituzione e delle leggi, sono più importanti.
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