Quella crociata infinita

Nel 1204 Costantinopoli fu conquistata e devastata dai cristiani

Si può vedere la storia in bianco e nero. Un conflitto di civiltà permanente e continuato. Da un lato l’Islam bellicoso, che parte da Maometto e arriva a Bin Laden. Dall’altro la civiltà cristiana, che inizia con Gesù e continua con Oriana Fallaci e Marcello Pera. Oppure, se si preferisce, si può guardare la storia in tutte le sue iridescenti sfumature. Pensare a come le guerre di religione più sanguinose, ieri come oggi, siano state quelle che hanno diviso i fratelli nella stessa fede, cattolici e protestanti, sciiti e sunniti. Pensare a come le vicende di Oriente e Occidente si siano tante volte sinuosamente intrecciate, con esiti imprevedibili, e a come il Cristianesimo, oggi identificato con l’Occidente, sia in realtà stato a lungo Oriente, l’Oriente di Bisanzio, che considerava Roma una nemica. «Meglio il turbante del turco della tiara del Papa» era, come si sa, la parola d’ordine di molti greci ortodossi. Insomma, se proprio si vuole mettere la storia al servizio della cronaca, far derivare dai conflitti di ieri le guerre di oggi, allora è forse meglio guardare le cose nella loro complicata interezza.
Prendete il caso di Manuele II Paleologo, l’imperatore di Bisanzio la cui frase contro i maomettani, citata da Papa Ratzinger nel suo discorso di Ratisbona, ha tanto fatto infuriare gli islamici integralisti. Manuele era stato alleato del sultano Bayezid I, da cui si era fatto aiutare per riconquistare il trono. Poi cercò sostegno in Occidente contro i turchi, ma con scarso successo, anche perché francesi e inglesi erano impegnati a massacrarsi nella Guerra dei cent’anni, in cui fu messa al rogo la santa Giovanna D’Arco. Intanto Manuele doveva vedersela pure con i veneziani, con cui l’impero bizantino era indebitato fino al collo. Papa Martino V gli offrì aiuto in cambio dell’unione tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente. Ma l’imperatore di Bisanzio non se la sentì di abiurare l’ortodossia e preferì farsi monaco, morendo nell’anno 1425. Non prima, però, di aver ammonito il figlio a non tentare mai l’unione tra le Chiese, atto che non avrebbe salvato Bisanzio e che non sarebbe mai stato capito dai suoi sudditi, ferocemente antipapisti.
Alle spalle della vicenda di Manuele II ci sono eventi non meno complicati, accaduti due secoli prima, al tempo della IV Crociata. Siamo nell’anno 1204. Spinti dal doge di Venezia Enrico Dandolo, cieco e 85enne, che vuole mettere le mani sull’impero bizantino, i crociati espugnano e devastano Costantinopoli. Un misfatto che pesa ancora sui rapporti tra cattolici e ortodossi, e con cui il Papa dovrà certo fare i conti nella sua prossima visita in Turchia, non solo Paese islamico, ma anche sede del più autorevole Patriarcato ortodosso. Ci sarebbe abbastanza materia, dunque, per ragionare sui conflitti attraverso cui si è forgiata la civiltà cristiana. E riflettere sulle ragioni di quell’odio per cui, nell’aprile 1182, si scatena a Bisanzio un pogrom contro gli occidentali: preti cattolici massacrati, il cardinale Giovanni, spedito da Roma per trattare la famosa unione tra le chiese, decapitato, e la sua testa legata per spregio alla coda di un cane.
Un’onda di violenza popolare a cui risponde nel 1204 la furia dei Crociati, che sul seggio del Patriarca di Costantinopoli fanno sedere una prostituta, per poi spartirsi terre e possedimenti bizantini. Ma Paolo Cesaretti, in L’impero perduto (Mondadori) non cerca facili attualizzazioni. Gli eventi del 1204 sono visti invece attraverso il filtro di una vicenda individuale, attraverso la storia di una donna che è al tempo stesso la storia dei complicati rapporti tra Oriente e Occidente: Agnese, figlia del re di Francia, andata in sposa all’erede al trono di Bisanzio, Alessio II. Alessio era figlio di Manuele I Comneno, energico imperatore bizantino. Un uomo che guarda con simpatia all’Occidente, che ama le mode occidentali, come i tornei di cavalleria. Un sovrano noto per la sua esuberanza sessuale, che «montava molte femmine», come ebbe a scrivere lo storico Niceta Coniate. Insomma, una figura che, con il suo dinamico individualismo, dimostra, come nota Cesaretti, quanto sia vacuo lo stereotipo che irrigidisce sempre l’uomo bizantino «in una fissa bidimensionalità da icona». No, Bisanzio era un mondo in movimento, un mondo percorso da tensioni continue.
Ed è in questo mondo che arriva, ancora bambina, Agnes, figlia di Luigi VII re di Francia, docile strumento della politica dinastica del padre. Manuele Comneno ne ottiene la mano per il figlio, strappandola all’ultimo momento alla corte del suo grande nemico, il Barbarossa, a cui pareva destinata. Difficile immaginarsi come possa essere apparsa, agli occhi della regale bambina francese, la splendida Bisanzio cantata come un luogo favoloso anche dal trovatore Peire Vidal, che celebrava in una sua poesia «i mille cammelli carichi d’oro dell’impero di Manuele». Di certo Agnes, subito ribattezzata Anna, non ebbe vita facile. Nel 1183 Alessio II viene ucciso dallo zio Andronico, che si proclama imperatore e si prende come sposa Anna-Agnes. Gli storici bizantini narrano con orrore il connubio tra l’ormai 65enne usurpatore e la dodicenne principessa francese: «Non si vergognava, quel vecchione, di giacersi incestuosamente con la moglie del nipote, dalle rosse guance, tenera, di abbracciare, lui maturo, una fanciulla acerba, una ragazzina dai seni diritti, lui aggrinzito e cadente, una giovane dalle dita di rosa e stillante rugiada d’amore», scrive ancora Niceta Coniate. Andronico verrà a sua volta spodestato, torturato e ucciso. Di Agnes-Anna sembrano perdersi le tracce.
Nel 1203 i crociati francesi la ritrovano e le rendono omaggio. Ma lei li accoglie malamente.

Ormai, forse, si sentiva più bizantina che occidentale. Nell’agosto dello stesso anno, i suoi sudditi greci si schieravano per difendere la Moschea di Costantinopoli dall’attacco sacrilego di manipoli fiamminghi, veneziani e pisani. Fianco a fianco con i musulmani.

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