Maria Vittoria Cascino
«Non ho aperto nessuna inchiesta. E poi quella lettera al Tribunale Militare della Spezia era già arrivata.Per vie normali, da una qualche questura della Versilia. Letta e archiviata. Una delle tante sulla strage di Sant'Anna di Stazzema». Sulla presunta verità dell'eccidio che si portò via cinquecentosessanta vite. E centouno erano bambini. Sul ruolo dei partigiani, sui manifesti affissi dai tedeschi. Il procuratore Marco De Paolis, che ha sostenuto l'accusa nel processo di Sant'Anna, si ritrova sulla scrivania la stessa lettera e lo stesso mittente. A trasmettergliela questa volta è la Digos di Genova. È indirizzata a Luca Zingaretti, l'attore che interpreta il commissario Montalbano (protagonista della saga di Camilleri) e che di recente è stato ospite nel borgo delle Apuane dove ha dato voce alle «Lettere per Sant'Anna di Stazzema». Il pretesto della missiva nasce da «Giro di boa» che diventa fiction. In scena un Montalbano che «si sente tradito dalla polizia sui fatti del G8 a Genova e pensa di dimettersi». L'appiglio è stiracchiato, ma c'è. Soprattutto per chi di certe storie ne fa una ragione di vita. La lettera è vergata in bella calligrafia: «In quanto a tradimenti - recita - il commissario dovrebbe informarsi bene sui fatti di Sant'Anna di Stazzema. La verità non va taciuta e va raccontata nella sua interezza. I comandanti partigiani che presiedevano la zona esortarono e convinsero gli abitanti di Sant'Anna a non lasciare le proprie case perché comunque li avrebbero difesi dall'imminente rappresaglia. E gli abitanti, tranquillizzati da quell'impegno, rimasero nelle proprie abitazioni. Del resto l'unica strada di accesso a Sant'Anna presentava in più punti delle asperità che potevano essere difese a lungo anche di fronte a forze preponderanti».
All'alba di quel 12 agosto 1944 i tedeschi arrivarono a Sant'Anna e «i partigiani abbandonarono la zona senza avvertire gli abitanti. Mi sembra che quei comandanti partigiani abbiano colpe che non possono essere taciute». Ma questa storia l'hai già letta sulle pagine del Giornale. Perché l'ha già raccontata Pietro Oldoini, un bimbetto, oggi settantenne, che nel '44 viveva a Valdicastello con la sua famiglia. Si spostano a Sant'Anna perché lì almeno un quartuccio di latte lo spuntavano in quella vita grama. E proprio per via di quel latte che suo padre alle 5.30 del 10 agosto, sul piazzale della chiesa, legge un manifesto. La firma è del maggiore tedesco Walter Reder: «Evacuate il paese! Chiunque sarà trovato verrà passato per le armi». Manifesto che, secondo Oldoini, i partigiani avrebbero tolto e sostituito con un altro con su scritto: «Non ve ne andate. Vi difenderemo noi». Gli Oldoini scappano, ma quasi tutti gli altri restano. A morire. «La questione è stata ampiamente dibattuta in aula - insiste De Paolis - Una vexata quaestio su cui s'erano già confrontati storici e giornalisti. Che i partigiani potessero contrastare la XVI divisione delle SS che accerchia la zona da quattro punti diversi ed è dotata di mortai e armi d'ogni genere, è difficile da credere. I partigiani, male armati se ne tenevano alla larga. Ci sono tante piccole leggende che circolano». Il procuratore ti dice che di gente ne ha sentito in questi anni e che di lettere è stato sommerso. Ti dice anche che la storia del manifesto non è proprio così. Che era molto più generico e riguardava l'intera Versilia. «Tant'è vero che la maggioranza dei testimoni ascoltati non ne sapeva nulla. Quindi non è un dato che si possa provare». E sui partigiani che assicurano protezione? «Potrebbe essere stato qualche esaltato. Contrastare lo schieramento tedesco significava prendersi la responsabilità di un'azione militare in piena regola. E come ho detto, non regge». Però in questa Versilia di paesi sotto le Alpi, la voce corre ossessiva. De Paolis la chiama leggenda, perché della storia bisogna farne una foto dall'alto, mica perdersi di porta in porta, o di manifesto in manifesto. «In Versilia se ne parla da sempre.
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