È tutta una questione di lettere. Quando si sta in fondo all'alfabeto può capitare che la vita si faccia dura. E che per salvarsi serva una buona dose di ottimismo, e di sano cinismo autoimmunitario. Eccolo, finalmente in Italia, «Avenue Q», il musical che dal 2003 ha sbancato prima Broadway (in sei anni, 2.556 repliche), poi Londra e infine tutto il mondo. Infine a Milano, da questa sera al 22 novembre (ore 21, ingresso 33-22 euro, 02/79.40.26), al Teatro Nuovo.
Pupazzi e umani insieme sul palco, a convivere e raccontarsi. A cantare e ballare. E anche a litigare, come no. La morale è presto detta: se la via più centrale della metropoli è la A, be, quelli che stanno alla Q possono definirsi decisamente periferici. E in periferia non è sempre rose e fiori. Con azzeccato gioco di parole, i traduttori italiani (il regista Stefano Genovese in testa) hanno sottotitolato il musical di Jeff Whitty e Robert Lopez e Jeff Mark con «Via della Sfiga». «Ogni adattamento di Avenue Q nel mondo è stato personalizzato - spiega Genovese -. Noi ci siamo concessi questa battuta ma in fondo, tra tutte le versioni, la nostra meno ricorre ai riferimenti nazionali. La nostra Avenue Q si trova in una città indefinita. La versione originale chiaramente a New York».
Il musical «peloso, ma senza peli sulla lingua» racconta di un sobborgo popolato da curiosi abitanti che, guarda un po, hanno passioni e difetti molto simili ai nostri. È uno spaccato di vita di un gruppo folle e colorato di amici e vicini di casa: Princeton il laureato precario, Rod leffeminato con la passione per la Carrà, Trekkie il rude appassionato di Internet e di porno, Lucy la cantante di night-club e tanti altri, distribuiti in un cast poliedrico fatto di sette attori e cantanti, alcuni in simbiosi con uno o due pupazzi alla volta, mutando voce e tipo di canto. Un gioco di musica (eseguita da unorchestra dal vivo) e virtuosismo che, abbinato ad aneddoti ricchi di comicità e di una sana dose di «scorrettezza politica», ha fatto bingo in tutto il mondo.
«Lapparente candore di un pupazzo - spiega il regista - gli permette di esternare pensieri e di commentare il mondo con una franchezza e una libertà uniche». In una scenografia semplice raffigurante la strada del titolo, i pupazzi vengono sorretti dagli attori: «Il pubblico - aggiunge Genovese - ci mette poco ad abituarsi: e dopo pochi minuti si concentra sul volto del pupazzo, lo percepisce come vivo e dotato di unanima».
La storia è «diretta ad adulti e a bambini accompagnati da adulti. Cè qualche parolaccia, ma nulla di volgare e già non si senta in televisione. Cè anche una scena di sesso tra pupazzi, una cosa folle, anche anatomicamente, perché possono fare cose negate agli umani. Diciamo che lo spettacolo è per genitori illuminati e bambini che faranno poi parecchie domande ai genitori».
I pupazzi, colorati come gli originali americani ma diversi nei lineamenti, sono stati creati dal «mago» Arturo Brachetti: «Ognuno di loro - conclude Stefano Genovese - è ispirato a un vip nazionale. Per scoprirli, bisogna venire allo spettacolo».
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