Quell'allucinazione (in)compiuta dell'oscuro Baccarini

Quell'allucinazione (in)compiuta dell'oscuro Baccarini, pittore misconosciuto ma tra i più grandi del nostro primo '900

Quell'allucinazione (in)compiuta dell'oscuro Baccarini

Domenico Baccarini. Risulterà alle orecchie dei più, anche tra i miei appassionati lettori, un nome sconosciuto. Si tratta invece di uno dei più autentici e grandi pittori del primo Novecento, benché la sua vita e la sua impresa artistica si siano interrotte nel 1907. Baccarini esce di scena prima dell'affermarsi del Futurismo, a soli ventiquattro anni.

Nato a Faenza il 16 dicembre del 1882, muore il 31 gennaio del 1907. Ma la sua fragile e intatta forza genera un movimento lungo quasi un secolo, nella corsa dei suoi amici e compagni, denominato «Cenacolo baccariniano». Un'intera generazione riconosce nell'artista il punto di partenza di un'esperienza nuova che, prima delle avanguardie, si libera del magistero nella scultura e nella tradizione ceramica di Antonio Berti, direttore della Scuola di arti e mestieri a Faenza.

Baccarini se ne stacca proprio in apertura di secolo, nel 1901, iscrivendosi all'Accademia di Firenze. Lo seguiranno il grande scultore Domenico Rambelli, la cui esistenza, nella frustrazione degli anni del secondo dopoguerra, si chiuderà nel 1972; l'elegantissimo ceramista Francesco Nonni; e lo scultore Ercole Drei: tra i primi adepti del Cenacolo che, con lui, esporranno alla Mostra d'arte di Faenza del 1906. Con devoto e reverente impegno si muoveranno, subito dopo, Orazio Toschi, Giovanni Guerrini, Giuseppe Ugonia, Pietro Melandri, Riccardo Gatti, Achille Calzi. L'unità di intenti, sulla scia dell'Art nouveau, in una originale interpretazione degli esiti del simbolismo europeo in una dimensione non locale ma internazionale, non resta teoria ma attivo impegno tecnico e di mestiere nel laboratorio di Baccarini, entro il retrobottega della casa materna, dove i giovani artisti si esercitavano nell'intaglio e nel disegno e preparavano le lastre per le incisioni a stampa su fonti ispirate dalle riviste Emporium, Arte decorativa moderna, Arte italiana decorativa e industriale.

Ma l'esperienza del Baccarini, rispetto a quella, per esempio, di Nonni, è aperta a molteplici stimoli determinati dalla curiosità e dalla varietà delle esperienze. A Firenze, tra il 1901 e il 1903, incontra Adolfo de Carolis, Raoul dal Molin Ferenzona, Giovanni Costetti e Lorenzo Viani. Nel 1902 Baccarini visita l'Esposizione internazionale delle arti decorative di Torino e, nel 1903, la quinta Biennale d'arte a Venezia. Una più forte emozione gli viene nello stesso tempo da Elisabetta Santolini, detta «Bitta», la donna perdutamente amata con la quale si trasferisce a Roma nel 1904. Da «Bitta», che lo abbandonerà, avrà la figlia Maria Teresa soggetto di sue tenerissime sculture, e destinata a morire, nella stessa età del padre, di tubercolosi. A Roma Baccarini è ammesso alla Scuola del nudo all'Accademia di Francia, e lì conoscerà, con l'amico e affine Giovanni Prini, i futuristi non ancora futuristi Giacomo Balla e Umberto Boccioni. La sua attività, in ogni settore - pittura, scultura, ceramica, disegno, incisione - è fervidissima. Tornato a Faenza nel 1905, Baccarini continua le sue ricerche nella fabbrica di ceramica dei fratelli Minardi ed elabora le opere che saranno esposte alla sesta Biennale di Venezia. Importanti saranno l'incontro e il confronto con il celebre critico Vittorio Pica che lo inviterà alla Mostra di Belle arti per l'Esposizione internazionale di Milano. A Faenza partecipa alla prima mostra della «Società del risveglio cittadino» e illustra le novelle del popolare scrittore Antonio Beltramelli. Per necessità economiche, torna a Roma, dove, anche psicologicamente stremato, si ammala. Morirà a Faenza.

Non credo che, nonostante le non rare mostre locali, anche recenti, sulla scia del suo mito, in un ristretto ambito critico, la figura di Baccarini sia stata fin qui correttamente interpretata. Il riconoscimento anche generoso di Renato Barilla, che ne sottolinea la prevalente chiave espressionistica, o la più recente lettura di Francesco Parisi, che lo colloca nel gusto simbolista con oscillazioni fra i preraffaelliti e i divisionisti, non colgono fino in fondo la straordinaria forza e la novità di Baccarini che appare espressione di una perenne allucinazione. I suoi autoritratti, nella fissità dello sguardo, o quello mirabile (La donna, del 1904, in collezione Ghirlandi), con l'angelo che con la mano copre gli occhi del pittore, sono opere che hanno la stessa forza espressiva di Edvard Munch, e anche una stesura così libera da non avere precedenti. I numerosi ritratti di «Bitta», fino a quello insidioso davanti allo specchio, indicano un'ansia, una evocazione di spiriti e di turbamenti che esprimono una dichiarata opzione freudiana. E se l'Art nouveau sopravvive nel disegno di molte ceramiche, le sculture in gesso e in terracotta hanno un alito umano che le scioglie da ogni cifra stilistica per diventare pura verità dell'esistenza. Nel grande trittico L'umanità dinanzi alla vita o Le passioni umane - iniziato a Roma nel 1904 e ritenuto, ad evidenza, incompiuto - Baccarini va oltre le fonti dantesche di William Blake e Guastave Dorè, per approdare a una originalissima restituzione pittorica del non finito michelangiolesco, di cui conserva tutta l'oscura potenza. Al punto che, come cifra stilistica che va oltre le forme formate, quali potevano essere quasi negli stessi anni virtuosisticamente concepite da Giulio Aristide Sartorio, viene da pensare che l'incompiutezza sia voluta come scelta estetica, esattamente come il non finito dei Prigioni. Sono quindi pertinenti, e non a un livello qualitativo inferiore, i riferimenti della parte migliore della critica (Orsola Ghetti Baldi) a Ensor e a Picasso.

Da questo potentissimo annuncio, e dalla costante altezza della sua produzione, possiamo immaginare quale sarebbe stato lo svolgimento di questo grandissimo artista. Ma il tempo invidioso non ci ha consentito di conoscerlo.

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